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“Una casa di campagna che una volta era di proprietà del professor Scaglietti, ex titolare di Villa Salus e di altri terreni limitrofi, e affidata alla cura della famiglia Calzoni. Un tempo, lo spiazzo davanti casa era meta di picnic e di passeggiate per molte persone del Villaggio Due Madonne. Una volta ceduta questa attività, la famiglia Calzoni si trasferì in un appartamento in via Carli.”
Così scrive Emanuele Grieco nel suo “Voci del Villaggio” (Delta 3 Edizioni, 2008) per raccontare l’origine dello stabile e dei terreni che da quasi trent’anni ospitano Casa Gianni, una struttura che dà una mano a chi vuole uscire dalla tossicodipendenza. Siamo nel verde di via Mondolfo, in fondo a una stradina che una volta portava il nome di via Aurora e che ora porta molti alla liberazione.

casa gianniPur essendo al Savena, al confine settentrionale del Villaggio Due Madonne, Casa Gianni ha una storia legata a doppio filo al quartiere San Vitale: da vicolo Bolognetti infatti dipendeva il S.A.T. (Servizio Assistenza Tossicodipendenti), un organismo di volontariato (poi divenuto un’associazione) di cui in passato questa struttura è stata un’emanazione. Ora la comunità è gestita dalla cooperativa ASAT. Il suo presidente, Salvatore Sansone, ci accoglie in una stanza al piano terra della vecchia “casa del contadino”, arredata con la rustica eleganza dei mobili restaurati nell’attigua falegnameria. Prima di cominciare l’intervista, Sansone riceve la telefonata di un ex utente.

Redazione Salus Space: Le capita spesso di riascoltare la voce di chi è passato di qua?
Salvatore Sansone: Sì. Tutti quelli che si sono ricostruiti una vita altrove si sentono profondamente legati a noi. Come l’uomo con cui ho appena finito di parlare, che ha chiesto di fare un salto in struttura per salutarci prima dell’estate.

R.S.: Chi l’ha chiamata sapeva di trovarla ancora qui.
S.S.: E pensare che all’inizio credevo di restare pochi mesi! Avevo poco meno di trent’anni, Casa Gianni era nata da poco e il mio percorso di studi non c’entrava niente con la lotta alla tossicodipendenza.

R.S.: Com’era questa comunità ai suoi albori?
S.S.: Molto diversa da ora. Le politiche sociali, ad esempio, permettevano ad ogni struttura di usare a propria discrezione il finanziamento annuale della Regione. In quel periodo noi aprivamo la porta non solo ai ragazzi segnalati dai servizi sociali, ma anche a chi si presentava per sentito dire e non poteva sostenere una retta. E così riuscivamo ad ospitare fino a cinquanta persone, tutti utenti semi-residenziali che alla sera uscivano con noi. Compresi i ragazzi senza dimora, per i quali avevamo affittato un appartamento gestito ventiquattr’ore su ventiquattro.

casa gianni le attività

R.S.: Poi cos’è successo?
S.S.: Ora i Sert sono diventati titolari unici del trattamento e l’invio dei ragazzi in comunità è a loro completa discrezione. E siccome i Sert possono pagare la retta a un numero limitato di persone, i nostri ospiti sono calati drasticamente.

R.S.: Fra i vostri ospiti c’è mai stato qualcuno del Villaggio Due Madonne o del Fossolo?
S.S.: Non ricordo. Ma il continuo andirivieni dei primi anni, quando la struttura si svuotava di sera e tornava a riempirsi al mattino, non poteva certo passare inosservato agli occhi di chi abitava qui intorno.

R.S.: E come si sono sviluppati i vostri rapporti con il vicinato?
S.S.: Prima lentamente, poi a strappi. Per un certo periodo abbiamo allacciato stretti rapporti con il rione delle Due Madonne partecipando a manifestazioni come le “Giornate del Villaggio”, durante le quali allestivamo in piazza Lambrakis i nostri banchetti con fiori, frutta, verdura e mobili restaurati.

R.S.: Partecipate ancora a iniziative simili?
S.S.: No. Le “Giornate del Villaggio”si sono interrotte qualche anno fa, e il mercato settimanale di piazza Lambrakis non ci può ospitare per problemi legali connessi alle liberatorie di cui abbiamo bisogno.

R.S.: Nonostante ciò, continuate a restaurare mobili e a coltivare piante, frutta e verdura?
S.S.: Sì. L’orticoltura e la falegnameria sono i principali strumenti di ergoterapia, cioè di cura occupazionale. E continuiamo a vendere i nostri prodotti proprio perché con l’ergoterapia vogliamo eliminare le barriere ambientali e aumentare la partecipazione alle attività lavorative e sociali. Solo che ora la vendita avviene direttamente qui.

casa gianni orto

R.S.: Rifornite anche dei grossisti?
S.S.: Adesso no perché pochi utenti lavorano nei campi e nella serra, e non sono certo dei contadini provetti. Ma in passato, quando avevamo una produzione più ingente, collaboravamo con vari distributori. Ad esempio, mi ricordo che gli asparagi finivano tutti a una cooperativa di Altedo. Per le piante invece eravamo direttamente noi a rifornire i fiorai di Bologna.

R.S.: Come?
S.S.: Tutte le mattine partivamo con un camion carico di ciclamini, garofani, gerani, petunie, primule e piante grasse. La prima fermata era qui dietro, dalla fioraia del Villaggio Due Madonne, ma l’ultimo cliente ci aspettava in centro. Adesso la produzione si è molto ridotta, e siamo noi che aspettiamo eventuali acquirenti.

R.S.: Chi sono i vostri clienti?
S.S.: In genere persone del quartiere, dalle “nonnine” con le loro borse ai giovani che scelgono solo frutta e verdura di stagione, coltivata senza pesticidi e a chilometro zero. Nel nostro punto vendita offriamo asparagi, zucchine, spinaci, albicocche, ciliegie e così via. Abbiamo anche degli alberi di pere e mele, che però danno frutti piccoli, inadatti alla vendita. Non come le nostre fragole, che per le loro dimensioni si erano meritate una festa tutta loro, il “Fragolone Day”.

cartello

R.S.: In che periodo si svolgeva questa festa?
S.S.: Nella seconda metà di maggio. Era il giorno in cui aprivamo ufficialmente al quartiere la nostra comunità. La festa era all’insegna della fragola, ma in realtà i nostri ragazzi e i volontari sfornavano quintalate di crescentine e tigelle. La gente del quartiere aspettava con trepidazione il “Fragolone Day” per farsi delle grandi scorpacciate. Adesso questa festa si è interrotta, ma stiamo pensando di organizzare a breve un evento simile.

R.S.: E la falegnameria?
S.S.: Negli anni Novanta è nato il capannone dove recuperiamo mobili antichi. Qui i nostri ragazzi imparano un vero mestiere grazie agli insegnamenti quotidiani di un nostro tecnico molto bravo e a periodici corsi esterni. Il procedimento è basato su tecniche non invasive e segue il protocollo della “Carta del restauro”, che implica un lavoro lento e accurato per via della lucidatura a tampone e dell’uso della colla di pesce. La falegnameria è un’attività molto terapeutica, così come l’orticoltura, perché insegna l’importanza dei tempi d’attesa.

casa gianni falegnameria

R.S.: Come organizzate questi laboratori?
S.S.: Attraverso la Commissione di Monitoraggio delle Attività del Sistema (Comas), che gestisce la politica della lotta alla dipendenza riunendo attorno a un tavolo tutto il pubblico (i Sert) e tutto il privato accreditato. Noi facciamo parte di questo tavolo da dieci anni, siamo all’interno della Legacoop di Bologna e in questa provincia rappresentiamo una realtà importante perché siamo fra i pochi ad essere rimasti “piccoli” e in buona salute.

R.S.: Non siete cambiati pur dovendovi adeguare al passaggio di titolarità dei trattamenti. Ma cosa differenzia al loro interno le comunità di oggi da quelle del passato?
S.S.: La differenza fondamentale è che oggi queste strutture sono guidate da gruppi di professionisti che lavorano con tecniche e procedure codificate. Noi siamo perfettamente integrati nel territorio e con tutti i Sert della provincia di Bologna, da Imola a San Giovanni in Persiceto. Le figure carismatiche che illuminavano ogni comunità fino agli anni scorsi, San Patrignano in primis, si sono invece eclissate.

R.S.: E’ andata così anche qui da voi?
S.S.: Sì. A fondare Casa Gianni, e a condurla per molto tempo, è stato il professor Leonardo Benvenuti, con il quale ci siamo separati qualche anno fa. A lui si deve anche la nascita del Centro Margherita di via Abba, che alla metà degli anni Ottanta ospitava gran parte delle attività poi trasferite a Casa Gianni.

R.S.: Com’era la vostra comunità ai tempi di Benvenuti?
S.S.: Benvenuti aveva una visione razionale della lotta alla tossicodipendenza. Il suo approccio era basato sulla socioterapia, una scienza sociale che concerne lo studio del comportamento di persone inserite in contesti come le strutture e le comunità terapeutiche. Quando lui era qui, riusciva a risolvere le situazioni più delicate con il semplice e sapiente uso delle parole.

R.S.: Benvenuti era l’unica guida di Casa Gianni?
S.S.: No. La storia di questa struttura è legata in maniera indissolubile a Clara Malservisi, una figura altrettanto carismatica. Se è vero che Leonardo è stato il fondatore, il fulcro e l’immagine pubblica di Casa Gianni, si può dire che Clara abbia avuto lo stesso peso nell’evoluzione della comunità, pur restando in posizione più defilata. Lei abbinava grandi doti organizzative a straordinarie capacità d’introspezione. Le bastava parlare tre minuti con qualcuno per individuare il nocciolo di una questione. A detta mia e di tutti i miei colleghi, era lei la vera artefice del cambiamento di chi viveva qui.

R.S.: Benvenuti e la Malservisi erano complementari?
S.S.: Di più: insieme formavano la classica coppia che vale più della somma dei suoi componenti. Non a caso le loro strade si sono separate dalla nostra a pochi mesi di distanza l’una dall’altra.

R.S.: Invece “Gianni” resterà sempre con voi.
S.S.: Certo! L’intestazione è dedicata a un genitore che ha fatto tanto per noi, venuto a mancare poco prima dell’inaugurazione di questa comunità. Ma con il suo nome vogliamo ricordare con gratitudine e affetto ogni persona che nel corso di tanti anni ha contribuito a trasformare in un luogo accogliente il rudere di questa ex casa contadina. A tutti i “Gianni”: grazie!

di Sergio Palladini, foto Rita Roatti

Le foto dall’alto in basso: Primi anni ’60: bambini del Villaggio davanti alla “casa del contadino” (quello chinato è Emanuele Grieco); nella composizione mmagini di repertorio di Casa Gianni e dei suoi laboratori; l’orto e Domenico, collaboratore di Casa Gianni; anni Duemila: cartello promozionale di Casa Gianni, all’imbocco del tratto di via Mondolfo che più ricorda la vecchia via Aurora; falegnameria, reparto verniciatura.

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