Il Villaggio dello sport: un “Pratone” nel pallone
Storia sentimentale dei giochi e delle attività agonistiche alle Due Madonne. Capitolo primo
Storia sentimentale dei giochi e delle attività agonistiche alle Due Madonne. Capitolo primo
Villaggio Due Madonne e Villaggio Olimpico: un’accostamento audace, nato da una banale assonanza, eppure suggestivo e fecondo, se non altro perché mi dà l’imbeccata per cominciare a proporre in questo blog l’intera raccolta di articoli che Emanuele Grieco, nel suo “Voci del Villaggio”, ha riservato ai giochi e agli sport praticati nel rione dove è nato e cresciuto.
Il primo testo della serie ha il sapore delle ricostruzioni storiche a fumetti che si leggevano sull’Intrepido. È dedicato alle giornate che un tempo ogni bambino (ma anche qualche bambina!) trascorreva giocando a pallone sui prati spelacchiati e sulle strade polverose sotto casa. Giornate che sembravano interminabili ma che per tutti, senza un motivo preciso, sono terminate. È successo anche a me: una sera sono tornato a casa come se niente fosse e da quel momento non ho più giocato in un prato. Probabilmente nei giorni successivi non sono andato a giocare per una ragione qualunque; forse pioveva, o sono partito, o stavo poco bene. Ma è certo che “basta” non l’ho mai detto. Così mi è rimasta l’impressione di una cosa troncata a metà, di non aver finito di giocare sui prati, e una latente mentalità di dovervi tornare; qualcosa che ancora adesso mi fa pensare: “Accidenti, dovevo andare a giocare sui prati e invece sono andato a quella festa”.
Sergio Palladini
Tempo fa rimasi colpito dall’osservazione di Marcello Lippi, a quei tempi allenatore della nazionale di calcio campione del mondo 2006: parlando di questo sport e del suo futuro, disse che oggi i ragazzi non giocano più a calcio nelle strade o nei campetti di periferia. Un segno dei tempi, non vi è dubbio. Noi bambini e ragazzi del Villaggio, invece, trascorrevamo tutto il nostro tempo libero a giocare “al pallone” sull’asfalto o sui prati sotto casa. Non servivano le porte: in terra si sistemavano due borse, due maglioni arrotolati o due grossi sassi, e i pali erano fatti. A volte non c’era nessuno in porta e le squadrette erano formate da due, tre, quattro giocatori che correvano con passione e frenesia in lungo e in largo. Ricordo che ogni giorno, finita la scuola, si tornava a casa, si mangiava in fretta un boccone e con un entusiasmo e una gioia irripetibili si correva a rompicollo verso il campo di via Carlo Carli. Ai tempi della mia adolescenza, lì c’erano ben due campi di calcio; in seguito uno fu destinato al tamburello e un altro fu ristretto per far posto a un nuovo palazzo.
Nel campetto di calcio c’era sempre qualcuno che giocava quasi ad ogni ora. Tantissimi ragazzi, in particolare, si davano appuntamento nel primo pomeriggio, e dopo un po’ di riscaldamento si era già in forma per la classica partitella. Ancor prima del campo, il nostro luogo preferito era la strada chiusa tra via Tacconi e via Carli, quei cinquanta metri che sentivamo tutti nostri perché le macchine non passavano, essendo vicolo cieco. Eravamo i padroni della strada.
Dal 1966 abbiamo iniziato a godere dell’applicazione dell’ora legale, C’era luce fino alle 21.30 e d’estate, dopo cena, si tornava a giocare. Continuavamo anche al buio o con la fioca luce del lampione. I nostri modelli erano gli eroi del “fùdbol”, i “mitici” stranieri, gli oriundi e anche gli italiani delle squadre più blasonate del campionato e della nazionale. Soprattutto i giocatori del Bologna che nel campionato di calcio 1963-64 avevano vinto lo scudetto. Erano gli anni di maggiore entusiasmo per i colori rossoblù. E con eguale trasporto seguivamo il “torneo delle vie”, competizione a cui partecipavano squadre formate da ragazzi abitanti nelle strade del rione. La via Dallolio, addirittura, aveva due formazioni: Dallolio A e Dallolio B. Ogni partita era accompagnata dal tifo di tantissima gente che partecipava con entusiasmo. Di quella bella esperienza è rimasto in molte persone un ricordo piacevole e molto forte.
Nel 1978 fu costituita una squadra di calcio con cinque ragazzi di via Mondolfo e una decina di via Longhena. Erano alcuni dei giovani che insieme alle loro famiglie avevano popolato i nuovi insediamenti abitativi nati a stretto contatto col Villaggio a metà degli anni ’70. I nuovi residenti avevano formato una “commissione Sport e Cultura” per dare vita a momenti di aggregazione e di festa per la popolazione dei caseggiati. Questa squadra partecipò al primo torneo di calcio delle cooperative edilizie di Bologna e con grande sorpresa di tutti riuscì a vincerlo.
L’entusiasmo provocato da questo successo fece nascere l’idea di riconvertire in campo da calcio il terreno disadorno collocato tra i vari palazzi. Con l’aiuto del Quartiere sorse così il mitico “Pratone”, che venne usato sia da questa squadra di calcio, sia da semplici cittadini di ogni età. Nel corso del tempo sono accadute molte cose. Qualche anno or sono si ventilò il progetto di costruire nuove abitazioni proprio su quel campo, ma la mobilitazione popolare e giovanile impedì che uno spazio così prezioso venisse cancellato. E così, ancora oggi, gruppi di ragazzi si ritrovano sul “Pratone” per tirare due calci o per la tradizionale partitella tra amici. Ogni tanto mi fermo a guardarli, e per un po’ torno bambino.
Emanuele Grieco
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