Salus SpaceArchives

Ancora ricordi della Bologna di un tempo, questa volta siamo nell’immediato dopoguerra. Ecco il racconto di un ottuagenario residente a Bologna dal 1946, arrivato in via dei Lamponi dopo un viaggio interminabile in carro merci…

Io ero arrivato a Bologna dalle Marche nel settembre 1946, stipato con la mia famiglia dentro un vecchio carro merci, fino alla Stazione Centrale dopo un viaggio interminabile e avventuroso. Per giungere alla mia attuale casa di Via Dei Lamponi,  dal carro merci siamo saliti a strati sovrapposti, in una vecchia “botticella a cavalli” simile a quella che usava Padre Marella per raccogliere le elemosine per i suoi innumerevoli poveri.  La Via Dei Lamponi, che già allora collegava Via Malvolta con Via Degli Orti, a senso unico a scendere, era fiancheggiata da campi coltivati – delimitati da una canaletta a cielo aperto alla sua sinistra – mentre a destra era un susseguirsi di case danneggiate o distrutte, con intercalate rare eccezioni, come la mia casa ed alcune altre vicine, incredibilmente ignorate dalle bombe.Via_Mazzini_1945

All’epoca, la “Lunetta Gamberini” era un territorio riservato a bande di ragazzotti che lo egemonizzavano come territorio esclusivo per ogni sorta di scorribande, dalle quali ci tenevamo ben lontani. Per questo, il nostro territorio era quello intorno a casa. Una attrazione speciale, proprio all’angolo con Via Delle Fragole,  era rappresentata dal mitico  “Cinema Gianni”, dove venivano proiettate le pellicole dell’epoca – in visione da pre-rottamazione – spesso, stando seduti in terra nei corridoi, sgranocchiando “brustulli” (semi di zucca salati) tratti da fruscianti bustine di carta oleata. Ognuna, regolarmente fornita di stuzzicadenti, sulla cui facciata era stampata con inchiostro azzurro, la filosofia dell’epoca: “mangiare brustulli, denota nobiltà”.
L’altro centro di eccellenza del nostro piccolo mondo, era l’area occupata dalla bocciofila, con i suoi filari di pioppi, i suoi campi da bocce di terra rossa, ben tenuti e pressati, sia d’estate che d’inverno; la baracca del bar, frequentata di sera, di notte e – nel fine settimana – a tutte le ore, da  giocatori di carte e di biliardo, affiancato  da visitatori,  rigorosi esperti di ogni mossa utile per vincere la partita,

Un pomeriggio di fine estate-inizio autunno, correndo fra i campi da bocce e in  mezzo ai filari che si affacciavano sui terreni coltivati, fummo attratti da un cagnino che scavava nella sabbia scoprendo delle strane patate che emanavano un odore forte, strano e sconosciuto. Ci siamo guardati in faccia e abbiamo concluso che doveva trattarsi di funghi. Abbiamo preso in prestito uno dei secchi usati  per riporre le bocce e l’abbiamo quasi riempito di queste  strane patate profumate. Poi siamo corsi a casa, entusiasti, per mostrare alla mamma la nostra conquista preziosa: funghi da mangiare! Ma la mamma, non solo non aveva mai mangiato i tartufi, ma non si fidava neppure dei funghi, che potevano essere velenosi: così, ci disse – forse ci impose – di buttarli. Li rimpiango ancora, da quando ho scoperto quanto il “tuber”, sia buono e prezioso e, quello,  era proprio bianco e ce n’erano sette o otto chili, forse di più! Uno spreco enorme e inconcepibile.

 

 

Un piccolo ciclo di tre incontri all’Arci Benassi di Bologna in via Cavina 4 per raccontare la vita di alcuni grandi artisti del passato e per ricordare le vittime dell’olocausto in occasione della giornata della memoria.

Il primo appuntamento è stato il 9 gennaio con il film Frida (dedicato alla pittrice messicana Frida Khalo), poi è toccato, il 16 gennaio, a Turner, che evoca gli ultimi 25 anni di vita dell’eccentrico pittore britannico William Turner. L’ultimo incontro sarà martedì 23 gennaio (alle 20.45) con Woman in gold, serata organizzata in collaborazione con l’ANPI Savena. Il film racconta di Maria Altmann, una sopravvissuta all’olocausto, che combatte contro il governo austriaco per recuperare l’iconico quadro di Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, appartenuto alla zia e confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.

L’ingresso è riservato ai soci ed è ad offerta libera. Questa la locandina dell’evento

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Continua il nostro viaggio in una delle zone periferiche di Bologna, in una zona di “confine” tra due quartieri: il Savena e il San Vitale. Siamo nel borghetto della Croce del Biacco, non molto lontano da via Malvezza e dagli spazi della nostra futura Salus Space. Vi abbiamo già raccontato una delle realtà che anima questa zona, ovvero il centro sociale Croce del Biacco e le sue tantissime attività.

Ma la Croce del Biacco, le sue strade e le sue case hanno tanta storia da raccontare, una storia che parte dalla fine del 1700 e che arriva al Novecento  e alla resistenza partigiana. Una zona con tanti alloggi di edilizia pubblica e che in questi ultimi anni è stata anche oggetto di opere di riqualificazione urbana, come il Progetto Bella Fuori 3, un intervento fuori dal centro per la valorizzazione delle periferie.

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Piazza dei Colori -Marzo 1998

Qui è stato costruito un ‘corridoio ecologico’ che parte dalla Piazza dei Colori, costeggia l’asilo, il centro sociale, il centro islamico e arriva fino a Villa Gandolfi – Pallavicini. Questa Villa è una delle più antiche della zona: una residenza secentesca costruita dalla famiglia bolognese degli Alamandini e poi acquistata nel 1773 dal maresciallo genovese Gian Luca Pallavicini, al servizio degli imperatori austriaci. “Nel 2000 è stata sede dall’università di Bologna ed è stata ristrutturata, attualmente è gestita dalla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Padova che ha avuto la possibilità di utilizzare l’immobile dal Ministero del Tesoro”, spiega Luigi Luccarini, presidente del centro sociale Croce del Biacco.
Adolfo Dondi, autore di “Se facessi un libro sulla Croce del Biacco” e memoria storica della zona racconta anche della vecchia Villa Monti, proprio la villa che lascerà spazio a Salus Space: “una villa della metà del 1700 costruita all’interno di un parco di cerri e abeti. Passò poi alla famiglia Malvezzi de Medici e nel 1822 fu acquistata dal fratello di Napoleone, Luciano Bonaparte, che ci visse per alcuni anni con la moglie e i dieci figli. Tra il 1940 e il 1950 diventò poi  proprietà del prof. Oscar Scaglietti, che promosse la sua trasformazione in una grande struttura ospedaliera a sei piani, mutandone radicalmente l’aspetto originario. Diventò quella che tutti abbiamo conosciuto poi come Villa Salus”.

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Lapide ai tre caduti partigiani

Nonostante questa parte della città fosse una zona agricola punteggiata qua e là dalle ville delle nobili famiglie, fu anche scenario della resistenza partigiana: “uno degli eventi che ha fatto un po’ da ponte tra la storia della Croce del Biacco e quella di Villa Salus è stata l’uccisione di tre ragazzi di 18 anni, Fernando Benassi, Coriolano Gnudi e Bruno Montanari. Furono trucidati all’altezza del vecchio passaggio a livello,  dai tedeschi e dai fascisti”. Era il 18 agosto del 1944.

E poi un monumento davanti alla chiesa di San Giacomo ricorda tutti i caduti del periodo bellico: “sulla lapide ci sono i nomi dei caduti civili a seguito dei bombardamenti, dei militari e dei partigiani. Sul monumento c’è scritto: i comunisti posero! Questa è una curiosità, perché quando si dice comunismo si pensa a qualcosa di opposto alla religione, mentre in questa parrocchia hanno sempre avuto un buon rapporto…”, commenta Dondi.

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Chiesa di San Giorgio della Croce del biacco

La Croce del Biacco è una zona ricca quindi di storia e di memoria, che racconta però anche di tanti cambiamenti sociali che ci sono stati negli anni, sia nei rapporti tra generazioni che etnico-culturali. E di un difficile cammino di integrazione e inclusione che dura da anni.
“Su quattrocento soci del centro sociale solo due sono stranieri e secondo me questo dato dice tanto. Non molto lontano da qui c’è un centro islamico e al venerdì questa zona si popola di circa 100 e più persone che si recano lì per pregare, ma durante la settimana non vedi più nessuno”, spiega Luigi Luccarini. Il centro di cui ci parla Luccarini è il Centro di Cultura islamica di via Pallavicini.
“Il nostro paradosso è che abbiamo tre chiese diverse: una islamica, una cattolica e una evangelica ma non riusciamo a creare un dialogo e uno scambio continuo. Negli anni con Cantieri Meticci abbiamo fatto tanti corsi e laboratori, al centro islamico organizzavamo con l’aiuto di un parroco della zona degli incontri per parlare di salute, diritti e cultura.Tappe importantissime di cui ancora aspettiamo i frutti”.

Luccarini ci espone le perplessità e le paure che già molti cittadini e cittadine del quartiere hanno espresso sul futuro dei migranti che saranno ospitati a Salus Space e si chiede come potranno essere attuati reali processi di integrazione: “per esperienza personale ho visto che l’integrazione è difficile, perché spesso quello che manca è un reale senso di appartenenza alla comunità. Dobbiamo lavorare nelle scuole, sugli adolescenti che passano intere giornate a non far nulla e che quando sono in gruppo potrebbero cacciarsi nei guai. Quando con le altre associazioni abbiamo fatto un lavoro di educazione civica nelle classi, abbiamo visto che ha funzionato. Dobbiamo impegnarci tutti insieme, pubblico, associazioni e privato, se non vogliamo che le nostre periferie diventino una polveriera come quelle parigine. Ora tocca a Salus Space accettare la sfida dell’integrazione, non basta solo la prima accoglienza, o un atteggiamento troppo assistenzialista, bisogna formare queste persone, creando dei legami con la comunità”.

Foto concesse da Luigi Luccarini
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con Giordana Alberti

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