Storia, memoria e integrazione. Continua il racconto della Croce del Biacco
Continua il nostro cammino per le strade della Croce del Biacco a Bologna alla scoperta delle ville storiche, dei luoghi della memoria e dei progetti di integrazione
Continua il nostro cammino per le strade della Croce del Biacco a Bologna alla scoperta delle ville storiche, dei luoghi della memoria e dei progetti di integrazione
Continua il nostro viaggio in una delle zone periferiche di Bologna, in una zona di “confine” tra due quartieri: il Savena e il San Vitale. Siamo nel borghetto della Croce del Biacco, non molto lontano da via Malvezza e dagli spazi della nostra futura Salus Space. Vi abbiamo già raccontato una delle realtà che anima questa zona, ovvero il centro sociale Croce del Biacco e le sue tantissime attività.
Ma la Croce del Biacco, le sue strade e le sue case hanno tanta storia da raccontare, una storia che parte dalla fine del 1700 e che arriva al Novecento e alla resistenza partigiana. Una zona con tanti alloggi di edilizia pubblica e che in questi ultimi anni è stata anche oggetto di opere di riqualificazione urbana, come il Progetto Bella Fuori 3, un intervento fuori dal centro per la valorizzazione delle periferie.
Qui è stato costruito un ‘corridoio ecologico’ che parte dalla Piazza dei Colori, costeggia l’asilo, il centro sociale, il centro islamico e arriva fino a Villa Gandolfi – Pallavicini. Questa Villa è una delle più antiche della zona: una residenza secentesca costruita dalla famiglia bolognese degli Alamandini e poi acquistata nel 1773 dal maresciallo genovese Gian Luca Pallavicini, al servizio degli imperatori austriaci. “Nel 2000 è stata sede dall’università di Bologna ed è stata ristrutturata, attualmente è gestita dalla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Padova che ha avuto la possibilità di utilizzare l’immobile dal Ministero del Tesoro”, spiega Luigi Luccarini, presidente del centro sociale Croce del Biacco.
Adolfo Dondi, autore di “Se facessi un libro sulla Croce del Biacco” e memoria storica della zona racconta anche della vecchia Villa Monti, proprio la villa che lascerà spazio a Salus Space: “una villa della metà del 1700 costruita all’interno di un parco di cerri e abeti. Passò poi alla famiglia Malvezzi de Medici e nel 1822 fu acquistata dal fratello di Napoleone, Luciano Bonaparte, che ci visse per alcuni anni con la moglie e i dieci figli. Tra il 1940 e il 1950 diventò poi proprietà del prof. Oscar Scaglietti, che promosse la sua trasformazione in una grande struttura ospedaliera a sei piani, mutandone radicalmente l’aspetto originario. Diventò quella che tutti abbiamo conosciuto poi come Villa Salus”.
Nonostante questa parte della città fosse una zona agricola punteggiata qua e là dalle ville delle nobili famiglie, fu anche scenario della resistenza partigiana: “uno degli eventi che ha fatto un po’ da ponte tra la storia della Croce del Biacco e quella di Villa Salus è stata l’uccisione di tre ragazzi di 18 anni, Fernando Benassi, Coriolano Gnudi e Bruno Montanari. Furono trucidati all’altezza del vecchio passaggio a livello, dai tedeschi e dai fascisti”. Era il 18 agosto del 1944.
E poi un monumento davanti alla chiesa di San Giacomo ricorda tutti i caduti del periodo bellico: “sulla lapide ci sono i nomi dei caduti civili a seguito dei bombardamenti, dei militari e dei partigiani. Sul monumento c’è scritto: i comunisti posero! Questa è una curiosità, perché quando si dice comunismo si pensa a qualcosa di opposto alla religione, mentre in questa parrocchia hanno sempre avuto un buon rapporto…”, commenta Dondi.
La Croce del Biacco è una zona ricca quindi di storia e di memoria, che racconta però anche di tanti cambiamenti sociali che ci sono stati negli anni, sia nei rapporti tra generazioni che etnico-culturali. E di un difficile cammino di integrazione e inclusione che dura da anni.
“Su quattrocento soci del centro sociale solo due sono stranieri e secondo me questo dato dice tanto. Non molto lontano da qui c’è un centro islamico e al venerdì questa zona si popola di circa 100 e più persone che si recano lì per pregare, ma durante la settimana non vedi più nessuno”, spiega Luigi Luccarini. Il centro di cui ci parla Luccarini è il Centro di Cultura islamica di via Pallavicini.
“Il nostro paradosso è che abbiamo tre chiese diverse: una islamica, una cattolica e una evangelica ma non riusciamo a creare un dialogo e uno scambio continuo. Negli anni con Cantieri Meticci abbiamo fatto tanti corsi e laboratori, al centro islamico organizzavamo con l’aiuto di un parroco della zona degli incontri per parlare di salute, diritti e cultura.Tappe importantissime di cui ancora aspettiamo i frutti”.
Luccarini ci espone le perplessità e le paure che già molti cittadini e cittadine del quartiere hanno espresso sul futuro dei migranti che saranno ospitati a Salus Space e si chiede come potranno essere attuati reali processi di integrazione: “per esperienza personale ho visto che l’integrazione è difficile, perché spesso quello che manca è un reale senso di appartenenza alla comunità. Dobbiamo lavorare nelle scuole, sugli adolescenti che passano intere giornate a non far nulla e che quando sono in gruppo potrebbero cacciarsi nei guai. Quando con le altre associazioni abbiamo fatto un lavoro di educazione civica nelle classi, abbiamo visto che ha funzionato. Dobbiamo impegnarci tutti insieme, pubblico, associazioni e privato, se non vogliamo che le nostre periferie diventino una polveriera come quelle parigine. Ora tocca a Salus Space accettare la sfida dell’integrazione, non basta solo la prima accoglienza, o un atteggiamento troppo assistenzialista, bisogna formare queste persone, creando dei legami con la comunità”.
Foto concesse da Luigi Luccarini
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con Giordana Alberti
Villa Salus si sta trasformando in Salus Space. Ma Villa Salus non si è sempre chiamata così, il nome lo prese nel 1950 quando il corpo dell’edificio venne stravolto per diventare una struttura ospedaliera
Villa Salus si sta trasformando in Salus Space. Ma Villa Salus non si è sempre chiamata così, il nome lo prese nel 1950 quando il corpo dell’edificio venne stravolto per diventare una struttura ospedaliera.
Prima, ma molto prima, si chiamava Villa Monti e venne acquistata nel 1822 dal fratello di Napoleone, Luciano Bonaparte, che ci visse per alcuni anni con la moglie e i dieci figli. Ce lo racconta il sito dell’Archivio di Stato di Bologna.
In quell’anno Luciano, che spesso litigava con il fratello, si era trasferito a Bologna da Roma, dove papa Pio VII gli aveva assegnato il titolo di principe di Canino. La villa venne venduta da Cesare Bianchetti, era stata costruita nel Settecento per volere di Antonio Felice Monti, luogotenente dell’esercito di Luigi XVI. Era bellissima, circondata da un parco ricco di alberi e di statue.
A Villa Monti la famiglia Bonaparte riceveva l’alta società cittadina e allestiva nel piccolo teatro interno commedie in francese, spesso composte dallo stesso fratello di Napoleone. Gli aristocratici bolognesi conservarono tuttavia una certa diffidenza verso gli avventurieri Bonaparte, e la figliastra di Luciano, morto il marito, entrò in contrasto con gli Hercolani, con cui era imparentata, per questioni ereditarie. Quando nel 1835 Luciano, eclettico intellettuale, si allontanò da Bologna per tornare a concentrarsi sui suoi scavi archeologici nel territorio laziale, rivendette quella che era stata la sua residenza ai Malvezzi.
Dopo l’Unità cominciò l’inarrestabile declino della villa. Saccheggiata dagli austriaci in ritirata da Bologna nel 1859, fu poi rovinata dai bombardamenti che nel 1944 colpirono la zona circostante e in particolare il parco. Nel 1950 avvenne la trasformazione in struttura ospedaliera e il suo ampiamento, ottenuto snaturando la struttura originaria.
Venne infine acquistata nel 2005 dal Comune di Bologna, con una permuta di terreni all’ex mercato ortofrutticolo, con l’obiettivo di ospitare 150 persone, una parte delle famiglie rumene che avevao occupato l’ex Ferrhotel. Venne abbandonata nel 2007.
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