Le grotte del Farneto

Spingendosi nel territorio del Savena oltre San Lazzaro,  nella Val di Zena, si arriva alle Grotte del Farneto, oggi aperte al pubblico con visite guidate. Negli anni 60 qui vennero rinvenute alcune sepolture dell’età del rame, conservate al Museo Archeologico di Bologna.
Ecco come le ricorda Roberto Breschi, tra gli anni 40 e 50, quando erano un territorio semisconosciuto dagli abitanti della zona e un luogo di avventura ed esplorazione per i ragazzi dell’epoca. 

A fine anni ’40 noi ragazzi passammo dal giocare in giardino con i soldatini di piombo – in battaglie combattute con cannoni a molla – a scoprire, mamme permettendo, le zone d’intorno. Verso i 12-13 anni mi fu regalata una bicicletta che allargò di tanto l’orizzonte della mia vita.
Le bici servivano a noi ragazzi per esplorare il territorio fino ai campi ben coltivati di via degli Orti ed alla prateria di frontiera della Lunetta Gamberini, regno delle cerbottane (qui il racconto di Roberto Breschi – Lunetta Gamberini: ricordando com’era). Un paio d’anni dopo, prendemmo a spingerci oltre. Prima meta la sorgente libera “acqua puzzola” dal pungente odore di uovo marcio che sgorgava nel Savena a San Lazzaro, dove molti andavano a bere e a prendere bottiglie d’acqua (da bere in fretta perché si ‘sgasava’ in poche ore). Poi sentimmo parlare di una grotta, descritta in termini vaghi, che si trovava oltre San Lazzaro, dopo il Farneto, e freschi della lettura di Tom Sayer e del suo amico Huckeberry, decidemmo di cercarla. Eravamo solo in due, io e Quinzio. In realtà il suo nome era Massimo, ma a scuola avevo sentito citare il console romano Quinzio (o Quinto) Fabio Massimo e gli imposi il nuovo nome e da allora Quinzio fu.
La grotta del Farneto era libera a quei tempi con un’entrata ampia ed una prima sala calpestata a prova che c’era una qualche frequentazione. Noi ci munimmo di due candele, fiammiferi un ‘giubbino’ a testa, perché all’interno era fresco e prendemmo ad andarci più volte, facendoci coraggio e spingendoci sempre più all’interno. Non ci incontrammo mai nessuno. Ci dava sicurezza familiarizzare con tratti non visitati prima e memorizzare bene la via del ritorno, ricordandoci come Tom e Huck si erano persi nella loro grotta, rischiando la pelle, prima del finale trionfale con la scoperta di un tesoro, in cui forse speravamo anche noi…

Cercando oggi su Internet la storia della grotta del Farneto ho letto che Luigi Fantini (cui sono intitolati i musei di San Lazzaro e Monterenzio) ci trovò negli anni ’60 reperti dell’età del bronzo, che quindi erano ancora lì ai nostri tempi…Quello avrebbe potuto essere il nostro tesoro!


Ricordo anche una corsa all’indietro precipitosa quando, svoltando un angolo, ci venne addosso un nugolo di pipistrelli, con strida acute e le ali a sfiorarci la faccia. Quella volta fuggimmo “a razzo” anche noi verso l’entrata e non so chi correva più forte! Tornato a casa, mi ero così impressionato che ne parlai alla mamma. Errore!
Perché da quel giorno non volle più lasciarmi andare con la candela e dovetti farne portare due dal mio scudiero (non per niente lo chiamavo in quei casi anche Sancio). In una delle ultime spedizioni, forse l’ultima, io e Quinzio ci facemmo animo e ci infilammo in un cunicolo stretto, che si divaricava a sinistra e – insolitamente – in alto in un tratto già piuttosto interno. Quinzio che era più piccolo e magro di me e si infilò avanti. Aiutandoci con le mani salimmo, ruotando un po’ verso destra e dopo pochi metri Quinzio mise un gridolino di stupore. Che c’è?! Candela in avanti, mi allungai strofinandomi fra lui e la roccia e vidi che eravamo sbucati in una specie di piccolo fiume sotterraneo, ma non d’acqua, di melma!
Era lì a un metro o poco più sotto di noi e pur parendoci del tutto ferma, la melma, in chissà quanti millenni, aveva scavato un cunicolo semi-circolare regolarissimo, in una grotta come il Farneto dove non c’erano regolarità, ma spuntoni e rocce a casaccio.


Questa era davvero una vista sorprendente e totalmente inattesa. “Quanto sarà fonda?!”  Poteva venirci l’idea di scendere quel metro e provare a camminare in quella melma che sembrava bloccata da un incantesimo con l’effetto di piccole onde, ma avevamo già paura di esserci spinti troppo avanti, oltre i ricordi di Salgari e delle sue sabbie mobili, così restammo lì sdraiati, paralleli con le due candele avanti a guardare… Quanto tempo? Non saprei, certo qualche minuto almeno, così da fissarmi quell’immagine così bene che ancor oggi riesco a vederla distintamente.
Per anni mi sono riproposto di tornare, con qualcuno pratico della grotta, per ritrovarla. Poi lessi sui giornali che l’entrata era franata e l’accesso impossibile. Dopo 25 anni di chiusura la grotta fu riaperta nel 2008, ma ormai ho rinunciato: magari rimarrei deluso, chi può dire dopo ben oltre 60 anni, cosa troverei?
Mi tengo cara e ferma quell’immagine fortissima di un corso sotterraneo che ‘scorreva’ da millenni e che noi due guardavamo quel giorno, come la materializzazione del flusso di una vita sempiterna che – allora – per noi era tutta DAVANTI.

Da sabato 16 giugno Le Grotte del Farneto, faranno da sfondo a un ciclo di spettacoli teatrali in chiave di rievocazione storica, organizzati dalla Fraternal Compagnia.

Testo e foto di Roberto Breschi 

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