Il Comitato Due Madonne riparte
Riprendono le attività del Comitato Due Madonne, attivo ormai da 18 anni nel quartiere Savena di Bologna. Il primo appuntamento del 2018 è per lunedì
Riprendono le attività del Comitato Due Madonne, attivo ormai da 18 anni nel quartiere Savena di Bologna. Il primo appuntamento del 2018 è per lunedì
Riprendono le attività del Comitato Due Madonne, attivo ormai da 18 anni nel quartiere Savena di Bologna. Il primo appuntamento del 2018 è per lunedì 22 gennaio, alle ore 21, presso la sala centrale del condominio CA2 di via Genova 23/2 (autobus 7/B ). La storia del Condominio Cavedone2 la trovate qui.
Nell’impossibilità di andare a visitare in gruppo la mostra “Van Gogh, Tra il Grano e il Cielo” a Vicenza, Sandra Fiumi terrà una conferenza straordinaria sulla vita e sulle opere del grande pittore. La serata avrà una funzione propedeutica per tutti coloro che, singolarmente, vorranno visitarla
Mercoledì 31 gennaio, stesso luogo e stessa relatrice, questa volta Sandra Fiumi tratterà il tema “Petronio a Bologna”: Arte e Culto del Santo Patrono.
L’1 febbraio, per la serie di incontri “I giovedì della lettura ad alta voce, con Giovanna Lima”, il libro scelto sarà Isabelle, di André Gide.
Gli incontri, di due ore ciascuna, si svolgono nella saletta della polisportiva Pontevecchio di via Carlo Carli 58, dalle 14.45 alle 16.45.
“Voci del Villaggio” di Emanuele Grieco costituisce un insostituibile almanacco storico di una fetta di Bologna per certi versi unica: il Villaggio Due Madonne. Vi proponiamo qualche breve estratto dal libro…
In una guida turistica o in un manuale si può sempre rintracciare la voce di cui abbiamo bisogno.
In una guida “sentimentale”, al contrario, ogni voce è sparsa e non ci sono rimandi. Ma attraverso le voci è anche possibile raccontare un luogo, la sua storia e i suoi abitanti, in un modo al tempo stesso personale e sistematico: proprio quel che è riuscito a fare Emanuele Grieco con il rione Due Madonne.
Le sue “Voci del Villaggio”, pubblicate dieci anni fa e ordinate secondo i criteri dell’alfabeto e del cuore, costituiscono infatti un insostituibile almanacco storico di questa fetta di città per certi versi unica.
E compongono un diario di ricordi malinconici, di ironie argute e di considerazioni lievi fissate in una serie di spunti, scatti e parole-clic capaci di fotografare, di volta in volta, un panorama o un dettaglio del Villaggio.
Questa polifonia di voci “lontane ma sempre presenti” ci sembra ora perfettamente in grado di armonizzarsi nel coro del nostro blog, che dal materiale di Grieco ha già attinto preziose informazioni e foto. Perciò, a partire da oggi, cominceremo a pubblicare interi paragrafi di questa “villaggiopedia”, scelti a rotazione fra i sette capitoli che la compongono (“Storia religiosa”, “Storia politica”, Storia sociale e culturale”, “Il territorio – Villaggio e dintorni”, “Il villaggio dello sport”, “Persone”, “Com’eravamo”). Ringraziamo di cuore Emanuele per averci messo a disposizione il contenuto del suo libro (reperibile in una manciata di biblioteche cittadine) e lasciamo che ad aprire questa serie di contributi siano le sue parole più intime: quelle usate nell’introduzione per spiegare la genesi delle ricerche e per descrivere il tono delle voci che ascolteremo, un po’ alla volta, da qui in avanti.
Sergio Palladini
Introduzione
Da alcuni anni, nella piazza del Villaggio Due Madonne, una volta al mese si svolge il “Mercatino delle cose antiche”. Questa esposizione – come altre analoghe in altre parti della città e della provincia – riscuote un notevole successo. Tanta gente visita i curiosi e pittoreschi banchetti e molti acquistano oggetti di vario tipo, magari quegli stessi oggetti che anni e decenni fa avevano gettato come cose inutili, sorpassate, ingombranti. Come afferma la scrittrice Antonia Arslan “la modernità iniziale si è stemperata in nostalgia di un buon tempo antico, e gli oggetti e le costruzioni una volta considerati attualissimi sono diventati oggetti di nostalgia antiquaria”. Anch’io sono un appassionato visitatore e un “topo di mercatini”, un cercatore accanito di “cose vecchie”. E forse, con lo stesso atteggiamento mentale, scruto nel passato, scavo nella memoria, ricerco le “cose antiche”, della mia famiglia, dei luoghi di origine dei miei familiari, della città in cui sono nato, del quartiere in cui ho vissuto. A volte penso che il passato, la storia, la memoria, hanno in sé un irresistibile fascino e, insieme, una perversa attrazione. Cos’è la memoria? A cosa serve? Scrive Guido Dotti che “la memoria è il luogo della mente e del cuore in cui, temprati dalle ferite del passato, discerniamo ciò che dell’oggi è degno di avere un futuro. Facendo memoria, anche di eventi drammatici, trasformiamo il passato in tesoro per l’oggi e promessa per l’avvenire, lo riscattiamo dall’oblio e dall’abisso del non senso. Memoria non significa riesumare il passato come fosse un cadavere, bensì ridargli vita per l’oggi e caricarlo di senso per il domani”.
Io sono nato a Bologna l’8 agosto 1956. Nel luglio 1957 – non avevo ancora un anno – la mia famiglia prese finalmente possesso del tanto agognato appartamento al Villaggio Due Madonne, in via Carli, dove io vivo tuttora. In un certo senso il Villaggio e io siamo nati e cresciuti insieme. E insieme abbiamo compiuto i 50 anni. Per ricordare questo duplice “giubileo” ho scritto queste note, cercando di mettere ordine nei ricordi miei, dei miei familiari e di tante altre persone e famiglie che ho ascoltato in questi mesi e che al Villaggio hanno vissuto per anni e decenni.
E’ necessario innanzitutto fare una premessa: questo è un libro a carattere amatoriale, non ha la pretesa e la natura di un lavoro scientifico, sia esso storico o sociologico. E’ solo il frutto dei ricordi e della ricerca di una persona che ha vissuto in questo luogo – il Villaggio Due Madonne – per 50 anni. In queste pagine non c’è la “storia ufficiale” del Villaggio, n’è tutto o la maggior parte della cronaca, delle persone e degli eventi del Villaggio. C’è solo una parte di quella realtà, quella vissuta e rammentata da me e da altre persone. Non avendo tenuto un diario nel corso degli anni ed essendo pochi i documenti della storia di questo mezzo secolo relativi al nostro rione, ho cercato di rivedere questo lungo periodo con gli occhi della memoria, scavando anche nei ricordi e nelle emozioni di diverse persone testimoni di questa realtà.
Ne è scaturito un ricco, variegato – e forse talora confuso – assemblaggio di persone, luoghi, fatti, parte della storia e della vita di questo territorio. Per quanto riguarda il periodo di riferimento, l’attenzione si è concentrata prevalentemente sugli anni di fondazione e di formazione del nostro rione, gli anni ’50 e ’60 e anche sul momento di forte sviluppo, negli anni ’70. Non mancano episodi e persone relative agli anni successivi, ma questi ultimi sono momenti più vicini all’attualità, ad un presente che spesso viviamo distrattamente e che sembra non lasciare tracce. Gli anni e i decenni più lontani, in cui il Villaggio è sorto, vengono qui rivissuti e rivisitati, non senza una venatura di nostalgia, di ricerca del “come eravamo”, per meglio capire come siamo.
Molte persone hanno contribuito alla elaborazione di questo libro, familiari, amici, vicini di casa, persone e famiglie testimoni di questi intensi anni di vita di un quartiere popolare un po’ speciale. Ho voluto ricordare tante persone, anche tra coloro che oggi non abitano più al Villaggio e neppure nella nostra città, anche per tentare di soddisfare quella umana, naturale curiosità che spinge a chiederci, talora: che fine ha fatto quella persona che conoscevo? Dov’è andato quel ragazzo che giocava con me? Cosa avrà fatto nella vita quel mio ex-compagno di scuola o quella giovane che incontravo in parrocchia o nella piazzetta? Domande normali, che forse nella vita tumultuosa di una città si stemperano e non trovano accoglienza o risposta, ma il Villaggio, invece, è sempre stato come un paese, soprattutto nei primi anni e decenni, quando era più decentrato, isolato dal resto del quartiere e della città. La piazza e la chiesa al suo centro e tutto il centro abitato attorno, anche questo ricorda un paese. I negozi, i portici, i luoghi di aggregazione sociale, i palazzi e i caseggiati popolari, i cortili, i campi, le grandi strade di riferimento esterne al rione, come la via Emilia, i tanti problemi e desideri comuni a molte persone e famiglie, la vita religiosa e anche politica e sociale per molti versi comune a molti individui, questo e altro hanno fatto percepire il Villaggio come un paese. Sensazione che in parte è rimasta, nonostante i grandi mutamenti degli ultimi anni e nonostante la creazione di nuove strade, case, strutture che hanno modificato i confini del Villaggio e fatto penetrare (e confondere) il rione nel resto del quartiere e di Bologna.
Quanto sia cambiato il Villaggio rispetto ai tempi della sua fondazione, lo può testimoniare, indirettamente, un fatto apparentemente minimo, marginale, una notizia ricavata sfogliando le annate del Bollettino Parrocchiale della Parrocchia “Nostra Signora della Fiducia”: nel primo numero, del febbraio 1959, il parroco ricordando le date e gli orari delle benedizioni pasquali alle famiglie, comunica che il 23 marzo sarebbe stato il turno delle “case coloniche in cui si diede la benedizione di S. Antonio”. Il ricordo di queste case di campagna, ben impresso in alcuni abitanti del Villaggio, da solo basterebbe a indicare l’intensità delle trasformazioni avvenute nel corso degli anni.
In questo libro sono ricordate anche persone che non ci sono più, ma che tanti ricordano con piacere, affetto e che hanno fatto del bene alla comunità, sia essa quella parrocchiale o politica, sociale, in generale. Non tutto ho potuto conoscere, rintracciare e rievocare in questo libro, ma certamente qualcosa del Villaggio, dei suoi 50 anni, della gente che vi ha vissuto, degli eventi accaduti, dei luoghi rimasti identici e di altri radicalmente trasformati. Qualcosa che è entrato per sempre dentro di me e dentro il cuore e la mente di tante persone, qualcosa che ha a che fare con la mia e la nostra identità personale e collettiva. Ripercorrendo i luoghi del Villaggio – sia nella memoria, sia fisicamente – mi accorgo come sono cambiati e come sono cambiato io, come tutto è mutato. Capisco e ricordo come giocare e correre in queste strade, nei campi, abitare in queste case popolari, attraversare e fermarsi nella piazza, parlare con tante persone, tutto questo e altro che si è svolto qui, ha contribuito fortemente alla mia formazione, alla mia identità. Le “Due Madonne” sono diventate, così, un luogo e un evento, importante, centrale nella mia esistenza. Andare a ritroso nei diversi fatti che hanno caratterizzato questo territorio, è anche andare indietro nella mia vita, nei vari momenti vissuti, nelle persone che hanno segnato la mia crescita, la mia evoluzione. Mi accorgo di come sono cambiato, in questi anni, anche nel modo di vedere la vita, gli altri, la religione, la politica, il valore del presente e del futuro. Ri-vedere e ri-percorrere tante persone, luoghi, eventi della storia del Villaggio mi ha aiutato a capire un po’ di più me stesso, a dare un senso a questi anni. Ha consentito, anche, di rendere più consapevole il senso di appartenenza ad una comunità in cui ho trascorso buona parte della mia vita.
Uno stimolo forte a scrivere queste note è venuto anche dalla pubblicazione di due preziosi libri sul Villaggio, il primo nel 2003, a cura della Biblioteca di quartiere “Natalia Ginzburg”, il secondo, nel 2008, per i 50 anni di storia della Parrocchia “Nostra Signora della Fiducia”.
Volumi importanti, ben fatti, riccamente illustrati e documentati. Questa mia pubblicazione, vuole invece essere diversa, non solo perché è amatoriale, ma perché di genere, in un certo senso, “diaristico”, “memorialistico”, e più orientata verso un insieme, talora semplice, quotidiano, di persone, luoghi, eventi. Ho cercato infatti di rievocare anche piccoli aspetti di vita quotidiana, concreta, minuta e di rendere omaggio a innumerevoli persone che con il loro lavoro, l’arte, la religione, la politica, gli studi, hanno dato “lustro” al Villaggio (ma anche alla città, e oltre). Si può dire che hanno “beneficato” la loro comunità di appartenenza, ed è giusto ricordarli, e farli conoscere ai più giovani.
Ho sempre pensato che la storia, tanto più di un quartiere, di un territorio, è intessuta dell’esistenza multiforme di tante persone e famiglie, e da un insieme di “microstorie di vita” che rendono in qualche modo unici, “speciali”, quel territorio e la sua storia, differenziandoli da tutti gli altri, anche tra quelli analoghi, sorti nel medesimo periodo. Perché come ogni individuo è diverso da un altro e la sua storia è irripetibile, così, la complessa relazione di tanti individui diversi in un contesto sociale particolare, dà vita a un irripetibile svolgersi di eventi, ad una storia che va ricordata – e salvata – proprio perché preziosa in quanto unica.
Così, forse, un giorno, in un banchetto di un “Mercatino delle cose antiche” qualcuno troverà qualcosa di questa storia e chissà, forse anche una vecchia copia ingiallita di questo libro.
Emanuele Grieco
Un piccolo ciclo di tre incontri all’Arci Benassi di Bologna per raccontare la vita di alcuni grandi artisti del passato e per ricordare le vittime dell’olocausto in occasione della giornata della memoria…
Un piccolo ciclo di tre incontri all’Arci Benassi di Bologna in via Cavina 4 per raccontare la vita di alcuni grandi artisti del passato e per ricordare le vittime dell’olocausto in occasione della giornata della memoria.
Il primo appuntamento è stato il 9 gennaio con il film Frida (dedicato alla pittrice messicana Frida Khalo), poi è toccato, il 16 gennaio, a Turner, che evoca gli ultimi 25 anni di vita dell’eccentrico pittore britannico William Turner. L’ultimo incontro sarà martedì 23 gennaio (alle 20.45) con Woman in gold, serata organizzata in collaborazione con l’ANPI Savena. Il film racconta di Maria Altmann, una sopravvissuta all’olocausto, che combatte contro il governo austriaco per recuperare l’iconico quadro di Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, appartenuto alla zia e confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.
L’ingresso è riservato ai soci ed è ad offerta libera. Questa la locandina dell’evento
Come tutti sanno, i gatti neri credono che imbattersi in un uomo bianco porti una scalogna tremenda. Deve pensarlo anche il micio color pece nella sede di Mondo Gatto, l’oasi felina che brilla come un miraggio in fondo a via Allende
Come tutti sanno, i gatti neri credono che imbattersi in un uomo bianco porti una scalogna tremenda. Deve pensarlo anche il micio color pece che guizza all’indietro appena mi vede entrare nella sede di Mondo Gatto, l’oasi felina che brilla come un miraggio in fondo a via Allende a Bologna. “Non si preoccupi, è molto superstizioso!”, mi rincuora Anna Pasetti, presidente e portavoce delle volontarie che ogni giorno si danno il cambio per governare il loro piccolo universo. La incontro una settimana dopo i “ConcertAuguri” al Quartiere Savena, dove spiccava il simpatico banchetto della sua associazione. Mi siedo e accendo il registratore mentre lei continua a pulire ciotole e a versare croccantini.
L’altro giorno ho aperto una scatoletta per gatti – ai “gamberetti” – e ho trovato un gamberetto. Potrebbe essere l’inizio di una nuova era?
«Non credo proprio. Per i gatti si fa di tutto, è vero, ma ormai hanno vinto i gattopardi, quelli che figurati se cambia qualcosa».
Può consolarsi pensando a com’è cambiata quest’oasi
«Mi consolo e mi inorgoglisco. Qui vent’anni fa c’era solo una cannella dell’acqua circondata da un recinto. E d’inverno, con il freddo birichino di Bologna, le pappe e l’acqua si ghiacciavano subito. Ma a poco a poco noi volontarie ci siamo attrezzate con tutto il necessario. Devo ammettere però che è stato fondamentale ottenere l’allacciamento alla rete elettrica. Sia per riscaldare le cucce e il cibo, sia per la luce. E’ vero che i gatti ci vedono anche al buio, ma noi no!».
Siete in gamba, voi volontarie
«Ci mettiamo amore e costanza, ma ogni miglioria è dovuta a quel gran ciappinaro di mio marito, che infatti qui dentro vince tutti gli appalti».
(lui sorride sornione, qualche metro più in là, con un cacciavite in una mano e una presa tedesca nell’altra)
Migliorie e manutenzione
«Servizio completo! Con il suo aiuto abbiamo tirato su il ripostiglio, la dispensa e le quattro casette destinate ai gatti bisognosi di cure e a quelli in attesa di adozione. Tutte e quattro con il proprio giardinetto. Una quinta casetta, sempre aperta, è invece riservata ai mici residenti, che si accoccolano lì quando fa troppo freddo nelle cucce in giardino».
In che senso, mici “residenti”?
«Nel senso di randagi, ostici, refrattari al rapporto con l’uomo. Sono i nostri ospiti fissi. Qui sono liberi di sgattaiolare fuori e di rientrare quando vogliono».
È per questo che la struttura si chiama “oasi felina”?
«Sì, perché non è del tutto chiusa, a differenza di un gattile o di una colonia. Le norme dicono che ogni gatto deve disporre di almeno cinque metri quadrati. Ma la nostra struttura è molto piccola, e così abbiamo inserito delle passatoie per tenere quanti più gatti possibile».
Libertà e rischio: le facce di una stessa medaglia
«O della stessa medaglietta, quella che i gatti in uscita portano al collo e che spesso li salva, se vengono investiti. Ma purtroppo non tutti gli automobilisti se ne accorgono o hanno la sensibilità di scendere dalla macchina per aiutarli».
Lei invece come è diventata una gattara?
«Grazie a Charlie, un soriano tigrato che adottai tanti anni fa in una colonia di via Zanardi. Impareggiabile compagno di giochi per i miei figli e pieno di amore per me e mio marito. La sera si accucciava sul divano con noi, ci guardava stringendo gli occhi a fessura e borbottava qualcosa in gattesco. Forse voleva dirci che era contento di essere entrato nella nostra famiglia».
E per entrare nella famiglia di quest’oasi cosa deve capitare a un gatto?
«A volte gli basta nascere. Di solito i gattini ce li portano i padroni di micie non sterilizzate. Alcuni si vergognano e li lasciano in un “trasportino” sul marciapiede qui davanti. Ma raccogliamo anche i gatti abbandonati, i randagi e quelli bisognosi di cure».
I gatti abbandonati, dove li raccogliete?
«Dovunque. Una volta siamo andate a prendere quattro splendide micine nel giardino del museo Carducci. Mi piace pensare che fossero state protette dallo spirito del poeta, che forse amava il pio gatto quanto il pio bove».
E il randagio più affettuoso?
«Per molti anni il gatto più popolare del circondario è stato Oliviero, un “randagione” nero di sei o sette anni che amava gironzolare e seguire chiunque gli facesse una carezza. Spesso lo incrociavo in cima a via Allende, mentre venivo all’oasi! “Dove vai, brigante?”, lo rimbrottavo, e lui tornava indietro seguendomi come un cagnolino. Ogni tanto qualcuno ci telefonava dal Villaggio Due Madonne, o da più lontano ancora, per chiederci se avevamo perso un bel gatto nero. Non doveva aggiungere altro. Avevamo già capito che stava parlando di Oliviero».
Poi cosa gli è successo? Ha fatto un brutto incontro?
«No, è stato adottato da un signore che ha avuto la costanza di venirlo a trovare per un’intera estate in attesa dell’arrivo della brutta stagione, il periodo in cui anche i randagi come Oliviero hanno meno voglia di scorrazzare all’aria aperta».
Prima mi ha parlato di gatti bisognosi di cure
«Le faccio un esempio che ancora mi commuove. Un giorno la clinica universitaria di Ozzano ci ha chiesto se potevamo accudire una gatta rossa con gravi problemi allo stomaco. Aveva un paio d’anni e pesava solo mezzo chilo. L’abbiamo chiamata Baby Ross e affidata al nostro ambulatorio di fiducia. Ci sono voluti due interventi chirurgici, ma nel giro di cinque mesi è cambiata da così a così. Qualche settimana fa la coppia che l’ha adottata mi ha mandato una foto in cui si vede la figlia più piccola dormire con lei accoccolata sul letto. Che emozione! ».
Di solito quanti gatti tenete, sani o in via di guarigione?
«Non più di una dozzina. Per fortuna riusciamo quasi sempre a equilibrare gli ingressi e le uscite. Qui transitano poco meno di cento gatti all’anno. Se l’oasi è sovraffollata, cerchiamo di accelerare le adozioni».
Mi è stato detto che l’addomesticamento con i gatti è molto difficile
«Niente di più falso. Un gatto addomestica il suo padrone in un paio di giorni al massimo».
Proprio come Garfield nel suo fumetto. Ma in che modo si riconosce un padrone addomesticabile?
«Prima facciamo una chiacchierata insieme, poi una nostra volontaria va in casa sua per controllare se ci sono le condizioni necessarie».
Quali condizioni?
«Mai guai se il richiedente ignora di avere in casa una pianta tossica per i gatti. Ma suvvia, una soluzione amichevole si trova sempre!».
E come trovate i soldi per gestire l’oasi?
«Fra pappe, medicine e cure veterinarie, spendiamo circa mille euro al mese. Non ricevendo finanziamenti pubblici, ci autotassiamo e confidiamo nel buon cuore di amici e simpatizzanti. Si può sostenere Mondo Gatto in vari modi: donando cibo e coperte, diventando un volontario dell’oasi, facendo un versamento all’associazione o destinandole il cinque per mille. O approfittando dei banchetti che allestiamo in giro per la città».
Dove?
«Dopo la festa in Quartiere, per tutto il periodo natalizio saremo al centro commerciale Fossolo 2, che ci ospita anche ogni weekend dell’anno. E in settembre potete trovarci alla festa dell’Unità, dove esponiamo i prodotti artigianali dei nostri soci e vari oggetti autografati da Vasco Rossi, da tempo nostro amico e sostenitore. I suoi gadget vanno a ruba, e purtroppo non è solo un modo di dire perché tre mesi fa qualcuno ha forzato il nostro stand al Parco Nord e se li è portati via».
Forse è lo stesso ladro che una settimana fa ha rubato l’albero di Natale nell’ingresso di un condominio di via Allende
«Non credo, perché nel vicinato abbiamo molti amici e sostenitori, e non solo fra coloro che hanno adottato un nostro micio. Certo, c’è ancora chi si lamenta delle impronte sulla macchina o porta a sgambare il cane senza preoccuparsi di tenerlo al guinzaglio. Molti nostri gatti sono finiti sotto una macchina proprio per sfuggire a un cane slegato. È l’unico dispiacere che ogni tanto mi fa desiderare una sede più grande».
Non avete mai pensato di chiudere le vie di fuga?
«Non servirebbe a niente. La nostra struttura è piccola, con le casette attaccate al recinto, e i gatti più acrobatici preferiscono uscire dall’alto. Salgono su un tetto, si raccolgono, spiccano un salto e in un attimo sono fuori».
E io spero che proprio là fuori ci sia qualche gattofilo incuriosito da queste poche righe
«Lo spero anch’io. Ma un’intervista scritta ha il difetto di non fare le fusa, perciò consiglio a tutti i lettori di passare a trovarci per fare due coccole ai nostri gattoni. Forse uno di loro li conquisterà. Un caloroso miao di buon Natale a tutti!».
testo e foto di Sergio Palladini (redazione Salus Space)
La Redazione Partecipata di Salus Space è stata alla Festa di Natale che si è tenuta al Centro Civico del Quartiere Savena. Eccone il resoconto
La Redazione partecipata di Salus Space è stata alla festa di Natale che si è tenuta nella sede del Quartiere Savena giovedì 14 dicembre 2017. Erano stati allestiti molti banchetti per le diverse associazioni del quartiere, con i loro prodotti e qualche suggerimento per i regali. I cittadini e le cittadine della Redazione partecipata, armati di microfoni, hanno intervistato le realtà che erano nella Piazza Coperta del Centro Civico di via Faenza, raccogliendo esperienze e racconti di chi il territorio lo vive tutti i giorni.
Abbiamo parlato con l’associazione Selenite, che si occupa di comunicazione ed educazione ambientale, lavorando nelle scuole del quartiere con alcuni progetti per la cura del verde urbano; abbiamo ascoltato l’esperienza dell’associazione Amici dei Popoli, un’organizzazione non governativa di cooperazione internazionale che cerca di sviluppare relazioni tra popoli e culture, lavorando in paesi come Eritrea, Etiopia e Rwanda. L’ultima associazione che ha accolto la nostra Redazione partecipata è stata Mondo Gatto, un’oasi felina che ospita all’incirca quindici gatti ed è gestita da sole donne.
E poi voce ai cittadini e le cittadine che erano presenti all’evento: “Conosci il progetto Salus Space?”, “Cosa ne pensi?”, “Cosa ti aspetti che sia realizzato?” sono alcune delle domande che sono state rivolte loro. Alcuni dei cittadini ancora non conoscevano bene i dettagli del progetto Salus Space, altri invece avevano letto molto sui giornali locali; altri ancora avevano partecipato alle riunioni organizzate dai partner. Dalle interviste è emerso l’entusiasmo della cittadinanza per la rigenerazione dello spazio dell’ex casa di cura in Via Malvezza, ma anche molta preoccupazione per la gestione futura e per l’integrazione con gli abitanti della zona.
Nei prossimi articoli vi presenteremo nel dettaglio le associazioni e vi faremo sentire le voci dei cittadini e delle cittadine.
Ecco alcuni scatti
Continua il nostro cammino per le strade della Croce del Biacco a Bologna alla scoperta delle ville storiche, dei luoghi della memoria e dei progetti di integrazione
Continua il nostro viaggio in una delle zone periferiche di Bologna, in una zona di “confine” tra due quartieri: il Savena e il San Vitale. Siamo nel borghetto della Croce del Biacco, non molto lontano da via Malvezza e dagli spazi della nostra futura Salus Space. Vi abbiamo già raccontato una delle realtà che anima questa zona, ovvero il centro sociale Croce del Biacco e le sue tantissime attività.
Ma la Croce del Biacco, le sue strade e le sue case hanno tanta storia da raccontare, una storia che parte dalla fine del 1700 e che arriva al Novecento e alla resistenza partigiana. Una zona con tanti alloggi di edilizia pubblica e che in questi ultimi anni è stata anche oggetto di opere di riqualificazione urbana, come il Progetto Bella Fuori 3, un intervento fuori dal centro per la valorizzazione delle periferie.
Qui è stato costruito un ‘corridoio ecologico’ che parte dalla Piazza dei Colori, costeggia l’asilo, il centro sociale, il centro islamico e arriva fino a Villa Gandolfi – Pallavicini. Questa Villa è una delle più antiche della zona: una residenza secentesca costruita dalla famiglia bolognese degli Alamandini e poi acquistata nel 1773 dal maresciallo genovese Gian Luca Pallavicini, al servizio degli imperatori austriaci. “Nel 2000 è stata sede dall’università di Bologna ed è stata ristrutturata, attualmente è gestita dalla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Padova che ha avuto la possibilità di utilizzare l’immobile dal Ministero del Tesoro”, spiega Luigi Luccarini, presidente del centro sociale Croce del Biacco.
Adolfo Dondi, autore di “Se facessi un libro sulla Croce del Biacco” e memoria storica della zona racconta anche della vecchia Villa Monti, proprio la villa che lascerà spazio a Salus Space: “una villa della metà del 1700 costruita all’interno di un parco di cerri e abeti. Passò poi alla famiglia Malvezzi de Medici e nel 1822 fu acquistata dal fratello di Napoleone, Luciano Bonaparte, che ci visse per alcuni anni con la moglie e i dieci figli. Tra il 1940 e il 1950 diventò poi proprietà del prof. Oscar Scaglietti, che promosse la sua trasformazione in una grande struttura ospedaliera a sei piani, mutandone radicalmente l’aspetto originario. Diventò quella che tutti abbiamo conosciuto poi come Villa Salus”.
Nonostante questa parte della città fosse una zona agricola punteggiata qua e là dalle ville delle nobili famiglie, fu anche scenario della resistenza partigiana: “uno degli eventi che ha fatto un po’ da ponte tra la storia della Croce del Biacco e quella di Villa Salus è stata l’uccisione di tre ragazzi di 18 anni, Fernando Benassi, Coriolano Gnudi e Bruno Montanari. Furono trucidati all’altezza del vecchio passaggio a livello, dai tedeschi e dai fascisti”. Era il 18 agosto del 1944.
E poi un monumento davanti alla chiesa di San Giacomo ricorda tutti i caduti del periodo bellico: “sulla lapide ci sono i nomi dei caduti civili a seguito dei bombardamenti, dei militari e dei partigiani. Sul monumento c’è scritto: i comunisti posero! Questa è una curiosità, perché quando si dice comunismo si pensa a qualcosa di opposto alla religione, mentre in questa parrocchia hanno sempre avuto un buon rapporto…”, commenta Dondi.
La Croce del Biacco è una zona ricca quindi di storia e di memoria, che racconta però anche di tanti cambiamenti sociali che ci sono stati negli anni, sia nei rapporti tra generazioni che etnico-culturali. E di un difficile cammino di integrazione e inclusione che dura da anni.
“Su quattrocento soci del centro sociale solo due sono stranieri e secondo me questo dato dice tanto. Non molto lontano da qui c’è un centro islamico e al venerdì questa zona si popola di circa 100 e più persone che si recano lì per pregare, ma durante la settimana non vedi più nessuno”, spiega Luigi Luccarini. Il centro di cui ci parla Luccarini è il Centro di Cultura islamica di via Pallavicini.
“Il nostro paradosso è che abbiamo tre chiese diverse: una islamica, una cattolica e una evangelica ma non riusciamo a creare un dialogo e uno scambio continuo. Negli anni con Cantieri Meticci abbiamo fatto tanti corsi e laboratori, al centro islamico organizzavamo con l’aiuto di un parroco della zona degli incontri per parlare di salute, diritti e cultura.Tappe importantissime di cui ancora aspettiamo i frutti”.
Luccarini ci espone le perplessità e le paure che già molti cittadini e cittadine del quartiere hanno espresso sul futuro dei migranti che saranno ospitati a Salus Space e si chiede come potranno essere attuati reali processi di integrazione: “per esperienza personale ho visto che l’integrazione è difficile, perché spesso quello che manca è un reale senso di appartenenza alla comunità. Dobbiamo lavorare nelle scuole, sugli adolescenti che passano intere giornate a non far nulla e che quando sono in gruppo potrebbero cacciarsi nei guai. Quando con le altre associazioni abbiamo fatto un lavoro di educazione civica nelle classi, abbiamo visto che ha funzionato. Dobbiamo impegnarci tutti insieme, pubblico, associazioni e privato, se non vogliamo che le nostre periferie diventino una polveriera come quelle parigine. Ora tocca a Salus Space accettare la sfida dell’integrazione, non basta solo la prima accoglienza, o un atteggiamento troppo assistenzialista, bisogna formare queste persone, creando dei legami con la comunità”.
Foto concesse da Luigi Luccarini
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con Giordana Alberti
Una delle nostre cittadine redattrici ha partecipato alla passeggiata nel quartiere Savena alla scoperta dei luoghi dell’accoglienza. Questo il racconto
Una delle cittadine redattrici del blog Salus Space ha partecipato alla passeggiata per le strade del quartiere Savena alla scoperta dei luoghi dell’accoglienza, organizzata dalla Caritas Bologna e questo è il suo racconto della giornata.
Per dar seguito all’interessante seminario organizzato da Caritas Diocesana Bologna, in collaborazione col Quartiere Savena, l’11 novembre 2017, sabato 18 novembre si è svolta la seconda parte dell’evento dal titolo: “Nell’accoglienza e inclusione dei poveri il fondamento della pace”.
In pratica l’iniziativa è consistita nel guidare le persone attraverso due tracciati (uno rosso ed uno blu), che sarebbero andate a visitare i luoghi degli inserimenti e delle accoglienze dell’umanità più debole all’interno del territorio del Quartiere Savena.
Le due diverse passeggiate, dal titolo “Per le vie del Quartiere Savena alla scoperta dei luoghi di promozione sociale dei poveri”, si sarebbero infine ricongiunte al Centro d’ascolto S. Giovanni Bosco. Io ho scelto di percorrere il tracciato blu.
La partenza avvenuta intorno alle nove del mattino da Casa Rodari, si è poi dipanata attraverso via Spina e il parco Ivan Pini fino al riparo notturno Madre Teresa di Calcutta dove, i volontari, ci attendevano con una colazione fatta di torte e biscotti.
Riprendendo il cammino, prima lungo via Lenin poi per tutta via Marx, siamo giunti alla confluenza con via Malvezza resa famosa dal progetto Salus Space. Il cancello della villa era aperto e ad attenderci l’immancabile Nasiru, capo del gruppo di ripulitura e sgombero del sito. Anche uno degli ingegneri del progetto era lì, che ci aspettava per rispondere a tutte le domande dei cittadini partecipanti alla passeggiata e da lui è arrivata la “bella notizia” e cioè che la demolizione del vecchio stabile avverrà con un’implosione pilotata da esperti demolitori e che, il giorno del fatidico evento, saremo tutti invitati ad assistervi (naturalmente a debita distanza) e si farà festa.
Passando lungo il sentiero, che diverrà un tratto della ciclabile che porterà alla futura Salus Space, siamo arrivati a Casa Gianni un centro di recupero per le tossicodipendenze. Mentre ascoltavamo, finalmente seduti, il racconto di uno dei responsabili, abbiamo messo a tacere i nostri stomaci con pizzette e crostini. Ci siamo poi sparpagliati tra il laboratorio di falegnameria (dove i ragazzi imparano il mestiere di restauratori di mobili antichi), le serre, i campi coltivati (dove si impara il mestiere del “cincinnato”) e la bottega del fruttivendolo dove molte persone hanno acquistato i prodotti di stagione raccolti quella mattina dai ragazzi ospiti della casa.
A un passo da Casa Gianni, in fondo alla via Mondolfo, siamo arrivati dentro il villaggio delle Due Madonne dove ad attenderci, sulla porta dell’edificio adibito alla opere parrocchiali della vicina chiesa Nostra signora della Fiducia, c’erano i volontari di “Compitando”. Francesca Deriù è una di loro e ci ha invitati a visitare gli spazi dove, ormai da 12 anni, il gruppo offre un sostegno ai bambini con difficoltà d’apprendimento e d’inserimento scolastico prendendosene cura in modo individualizzato. Al semaforo su via Dozza, quello che porta pedoni e bici verso il parco dei Cedri, ho abbandonato il gruppo per motivi personali ma sapendo che ormai la meta successiva sarebbe stata proprio il Centro d’ascolto della parrocchia di S. Giovanni Bosco dove sarebbero poi confluiti i due diversi percorsi.
Il clima soleggiato e clemente ha sicuramente aiutato la riuscita dell’evento ma è stato il senso d’appartenenza ad un pensiero condiviso da tutti i presenti che ha fatto da collante decretandone il successo.
Rita Roatti
Ecco qualche altro scatto della giornata. Foto di Giuseppe Guerzoni
Vi proponiamo un po’ di eventi al quartiere Savena nel mese di dicembre. Se volete inviarci delle segnalazioni potete scrivere a: redazione@saluspace.eu
Una carrellata di immagini che racconta la biciclettata che ha attraversato il Quartiere Savena il 21 ottobre scorso
Ecco una carrellata di immagini che racconta la biciclettata che ha attraversato il Quartiere Savena il 21 ottobre scorso. In ogni tappa veniva presentato un progetto proposto dai cittadini all’interno dei Laboratori di Quartiere, nel percorso del Bilancio partecipativo del Comune di Bologna.
Ora ogni cittadino con più di 16 anni può votare il progetto che preferisce fino al 27 novembre. Come si fa? Qui tutte le indicazioni.
A disposizione per realizzare le idee che risulteranno vincitrici, ci sono 150 mila euro per ognuno dei sei Quartieri della città.
Il video è stato realizzato dalla cittadina redattrice Teresa Vignali.
E’ stato un pomeriggio intenso quello di mercoledì 25 ottobre, nella sala Tassinari di Palazzo d’Accursio. I partner del progetto Salus Space hanno allestito i loro corner tematici. Il video!
E’ stato un pomeriggio intenso quello di mercoledì 25 ottobre, nella sala Tassinari di Palazzo d’Accursio. Dalle 15 in poi i partner del progetto Salus Space hanno allestito i loro corner tematici, pensati per poter spiegare direttamente il complesso mix di attività previste nell’area di via Malvezza, alla periferia est di Bologna, e rispondere ai dubbi e alle perplessità di cittadini e cittadine che hanno cominciato ad affluire dalle 16 in poi.
Sono venuti a trovarci abitanti, uomini e donne interessati al tema dell’innovazione sociale, consiglieri comunali, assessori, la Presidente del Quartiere Savena Marzia Benassi e poi il Sindaco Virginio Merola.
Ma al centro della giornata c’è stata Salus Space, i suoi futuri abitanti, i legami che si creeranno con i cittadini e il territorio circostante. Per provare ad immaginare quello che sarà, a partire dall’autunno 2019, i partner coinvolti nella coprogettazione hanno mostrato plastici, video, oggetti frutto di laboratori artigianali, piantine. Hanno risposto alle domande degli intervenuti, sollecitati dai nostri pannelli, che hanno hanno accolto anche post it con osservazioni positive e spunti critici. Eccone alcuni: “Attenzione all’abbattimento degli alberi”, “Questa sì che è innovazione sociale”, “Mi auguro che la sala studio venga intitolata al professor Scaglietti”, “Anche i migranti fanno parte del Think Tank?”, “Dove sono i giovani?”, “Chi sarà il responsabile del funzionamento del tutto?”, “Idea: corsi per fare la sfoglia”.
Il gruppo al lavoro sul progetto ha ora molte sollecitazioni da accogliere e rielaborare. E tra poche settimane si aprirà il cantiere fisico per l’abbattimento di Villa Salus.
Foto di Sergio Vegetti
Ecco il riassunto della giornata che ne ha fatto l’Agenzia di stampa DIRE
NEL 2019 CASE, ORTI, TEATRO, RISTORANTE…, “NON SARÀ PERIFERIA”. (DIRE) Bologna, 25 ott. – Quasi 12.000 metri quadrati che accoglieranno spazi abitativi, un ristorante multietnico, laboratori artistici e artigianali, un teatro, aree ortive e un centro studi sul welfare interculturale. È “Salus Space”, il progetto ideato e realizzato dal Comune di Bologna insieme a 16 partner (tra associazioni di volontariato, universita’, cooperative, ecc) che ha vinto il primo bando europeo del Programma Urban innovative actions (e’ stato scelto insieme ad altri 17 tra i 378 proposti da tutta l’Ue). Finanziato con cinque milioni di euro, il progetto ha una durata di tre anni, coinvolge l’area dell’ex clinica privata Villa Salus che da anni versa in stato di abbandono e ha come obiettivo generale l’inserimento nel contesto locale di un centro di ospitalita’, lavoro, welfare interculturale e benessere in senso lato. “Questo e’ un progetto composito, in cui c’e’ tutta la citta’. Ci stiamo lavorando da gennaio 2016 e alla fine dei tre anni avremo uno spazio nuovo, unico per le modalita’ di relazione”, ha detto Berardino Cocchianella, dell’Istituzione per l’inclusione sociale e comunitaria don Paolo Serra Zanetti del Comune di Bologna, in occasione della presentazione interattiva in sei tappe del progetto che si e’ tenuta oggi a Palazzo d’Accursio. “Sara’ uno spazio aperto alla citta’ in cui si sperimenteranno nuovi modelli e pratiche di inclusione e partecipazione sociale. Non sara’ un luogo di periferia, ma centrale della citta’”, ha detto il sindaco Virginio Merola che ha annunciato l’inaugurazione per la primavera del 2019.Il think tank sul welfare interculturale. Realizzato in collaborazione con i partner del progetto “Salus Space” e, in particolare, con il Ces.co.com dell’Universita’ di Bologna, si pone come obiettivo di sviluppare il concetto di welfare generativo e partecipativo che pone al centro la relazione, il coinvolgimento, il coprotagonismo. “Sara’ un luogo in cui si elaborano idee e pensieri e si riflette su cio’ che si fa dentro Salus Space, ma sara’ un’elaborazione che andra’ al di la’ del progetto stesso in una visione di quella che sara’ la futura citta’ metropolitana di Bologna- ha spiegato Matilde Callari Galli- le trasformazioni della societa’ hanno reso necessario pensare a un nuovo sistema di welfare rivolto a comunita’ multiculturali e mobili e deve essere un welfare attivo, partecipativo, che sia in grado di attivare le capacita’ individuali dei singoli. Ecco nel centro studi cercheremo di sperimentare nuovi modelli, nuove pratiche”. Le abitazioni. Obiettivo del progetto e’ accogliere circa 80 persone in 20 appartamenti, di cui la meta’ e’ rivolta a rifugiati e l’altra a famiglie in condizioni di fragilita’. È previsto un periodo di accoglienza che va da quattro a 18 mesi. “Con chi entrera’ nel 2019 inizieremo un percorso di accompagnamento per dare loro gli strumenti necessari per la convivenza all’interno di quella che sara’ una comunita’, sia pure temporanea”, spiegano i referenti. È previsto inoltre uno spazio bed and breakfast con 12 posti letto (sei stanze doppie) per turismo sostenibile e sociale e tre foresterie da utilizzare come residenze artistiche.Poi gli orti. Ci saranno tre tipi di aree ortive: un’area ricreativa di accoglienza, aperta a tutti, gli orti didattici per gli studenti, i cittadini, in cui si fara’ formazione per chi abitera’ gli spazi di “Salus Space” e dove si utilizzeranno sistemi di coltivazione che utilizzano poca acqua (orti idroponici semplificati) e infine orti produttivi. “Quest’ultima sara’ la parte piu’ grande, 400 o 500 metri quadrati, ed e’ quella che puo’ aiutare il progetto dal punto di vista economico, attraverso la vendita dei prodotti e delle piante ma che puo’ prevedere anche la raccolta diretta da parte dei cittadini – ha spiegato Giovanni Bazzocchi della Facolta’ di Agraria dell’Universita’ – Abbiamo un gruppo di lavoro in coprogettazione di cui fanno parte operatori sociali, richiedenti asilo, cittadini che sono al lavoro per immaginare forme di gestione di questi spazi”. Il ristorante multietnico, i laboratori artigianali e il teatro. Il ristorante avra’ 100 coperti e sara’ seguito (almeno nella fase iniziale) da MondoDonna che gestisce da anni un catering multietnico. È prevista la collaborazione con la parte ortiva, l’organizzazione di serate a tema e anche di corsi di cucina. Lo spazio teatrale sara’ gestito da Cantieri Meticci, “uno spazio aperto alla citta’ in cui raccoglieremo storie di quartiere per restituirle alla citta’”, e poi sono previsti tre laboratori artistici per la lavorazione di tessuto, legno e vetro con l’obiettivo di realizzare prodotti che possano essere venduti e sostenere economicamente il progetto.Dopo i primi due appuntamenti di presentazione del progetto (il 23 ottobre al Met Cantieri Meticci e il 25 in Comune), i prossimi incontri si terranno il 31 ottobre nell’Aula dei poeti in strada Maggiore in cui si parlera’ di welfare e innovazione sociale con Riccardo Prandini, il 23 novembre al Centro Zonarelli di via Sacco in cui Alessandro Tolomelli parlera’ di empowerment, comunita’ e l’identita’ come risorsa e non come limite, il 28 novembre all’Urban Center in piazza del Nettuno per parlare di welfare tra narrazioni e pratiche con Alessandro Martelli e il 5 dicembre nella Sala Marco Biagi in via Santo Stefano con Marco Castrignano’ che parlera’ di quartieri, comunita’ e capitale sociale. (Dires – Redattore Sociale)
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