Ma prima del giardino Giuseppe Impastato, cosa c’era?
Ecco come si è trasformato negli anni il giardino Peppino Impastato, dove oggi sorgono gli orti urbani condivisi
Ecco come si è trasformato negli anni il giardino Peppino Impastato, dove oggi sorgono gli orti urbani condivisi
“Orti fra le case” così furono definite le nuove aree ortive che, a fine ottobre del 2014, vennero presentate alla cittadinanza da parte del quartiere Savena. In quella sede, fu anche individuata una area ben precisa: il prato comunale fra il giardino Giuseppe Impastato, via Bombicci e via Carlo Carli al villaggio Due Madonne. I lavori sarebbero dovuti partire la primavera successiva ma, tra infinite assemblee per trovare famiglie decise a formare un gruppo di lavoro condiviso, istituzioni di commissioni e vari passaggi burocratici, la bella iniziativa ha preso il via solo a fine febbraio del 2018, con il nome di orti condivisi.
Ma come è riuscita a sopravvivere un’ area verde in una zona con un discreto valore immobiliare e piuttosto appetita da imprenditori edili? Una delle spiegazioni è che non ha mai cambiato la sua classificazione urbanistica e cioè quella di “area scolastica”. Così, in attesa che venissero erette aule o palestre comunali, il bel prato in questione è passato negli anni attraverso molteplici utilizzi.
Quando nell’estate del 1980 presi la mia residenza proprio di fianco all’area S.5A (così la zona è identificata in catasto n.d.r.), la terra veniva coltivata da un contadino che l’aveva ottenuta in comodato d’uso dal Comune per produrre cereali .
Così fu per una decina d’anni finché il contadino non andò in pensione. Allora l’area rimase incolta ed abbandonata per circa un lustro allorquando un gruppetto di volenterosi pensionati, abitanti nelle vie limitrofe, non decise di rimboccarsi le maniche e trasformare una porzione del prato, in un “giardino delle delizie”. Gli abitanti si presentarono all’allora presidente del quartiere Savena Virginio Merola e da lui ottennero tutte le attrezzature per pulire, dissodare, pareggiare il terreno, piantare arbusti e alberi d’alto fusto che accudirono amorevolmente per i primi anni finché, ormai troppo alti ed importanti, non furono messi in carico alla gestione del verde pubblico. Andarono anche al magazzino comunale di via Don Minzoni per scegliere panchine e tavoli ormai dismessi da altri luoghi pubblici e, dopo averli restaurati e ripuliti, li sistemarono sotto i rami degli alberi ogni anno sempre più ombrosi.
Nel 1995 il Comune pensò di far passare di lì la ciclabile che avrebbe collegato San Lazzaro al centro di Bologna e, poco più tardi, dotò l’area di attrezzature per i giochi infantili (scivoli, altalene, giostre ….) Così nacque quello che negli anni sarebbe diventato il giardino Peppino Impastato uno dei punti d’aggregazione e di socializzazione spontanea più vivace del nostro quartiere.
Ed ecco che, nel rimanente spazio di quello che un tempo era un campo coltivato ad orzo o frumento, oggi è nato un altro punto d’incontro per giovani famiglie con bambini: gli “Orti Condivisi”.
di Rita Roatti
Le grotte del Farneto, in Val di Zena, oggi sono aperte al pubblico con visite guidate. Ecco come le ricorda Roberto Breschi tra gli anni 40 e 50
Spingendosi nel territorio del Savena oltre San Lazzaro, nella Val di Zena, si arriva alle Grotte del Farneto, oggi aperte al pubblico con visite guidate. Negli anni 60 qui vennero rinvenute alcune sepolture dell’età del rame, conservate al Museo Archeologico di Bologna.
Ecco come le ricorda Roberto Breschi, tra gli anni 40 e 50, quando erano un territorio semisconosciuto dagli abitanti della zona e un luogo di avventura ed esplorazione per i ragazzi dell’epoca.
A fine anni ’40 noi ragazzi passammo dal giocare in giardino con i soldatini di piombo – in battaglie combattute con cannoni a molla – a scoprire, mamme permettendo, le zone d’intorno. Verso i 12-13 anni mi fu regalata una bicicletta che allargò di tanto l’orizzonte della mia vita.
Le bici servivano a noi ragazzi per esplorare il territorio fino ai campi ben coltivati di via degli Orti ed alla prateria di frontiera della Lunetta Gamberini, regno delle cerbottane (qui il racconto di Roberto Breschi – Lunetta Gamberini: ricordando com’era). Un paio d’anni dopo, prendemmo a spingerci oltre. Prima meta la sorgente libera “acqua puzzola” dal pungente odore di uovo marcio che sgorgava nel Savena a San Lazzaro, dove molti andavano a bere e a prendere bottiglie d’acqua (da bere in fretta perché si ‘sgasava’ in poche ore). Poi sentimmo parlare di una grotta, descritta in termini vaghi, che si trovava oltre San Lazzaro, dopo il Farneto, e freschi della lettura di Tom Sayer e del suo amico Huckeberry, decidemmo di cercarla. Eravamo solo in due, io e Quinzio. In realtà il suo nome era Massimo, ma a scuola avevo sentito citare il console romano Quinzio (o Quinto) Fabio Massimo e gli imposi il nuovo nome e da allora Quinzio fu.
La grotta del Farneto era libera a quei tempi con un’entrata ampia ed una prima sala calpestata a prova che c’era una qualche frequentazione. Noi ci munimmo di due candele, fiammiferi un ‘giubbino’ a testa, perché all’interno era fresco e prendemmo ad andarci più volte, facendoci coraggio e spingendoci sempre più all’interno. Non ci incontrammo mai nessuno. Ci dava sicurezza familiarizzare con tratti non visitati prima e memorizzare bene la via del ritorno, ricordandoci come Tom e Huck si erano persi nella loro grotta, rischiando la pelle, prima del finale trionfale con la scoperta di un tesoro, in cui forse speravamo anche noi…
Cercando oggi su Internet la storia della grotta del Farneto ho letto che Luigi Fantini (cui sono intitolati i musei di San Lazzaro e Monterenzio) ci trovò negli anni ’60 reperti dell’età del bronzo, che quindi erano ancora lì ai nostri tempi…Quello avrebbe potuto essere il nostro tesoro!
Ricordo anche una corsa all’indietro precipitosa quando, svoltando un angolo, ci venne addosso un nugolo di pipistrelli, con strida acute e le ali a sfiorarci la faccia. Quella volta fuggimmo “a razzo” anche noi verso l’entrata e non so chi correva più forte! Tornato a casa, mi ero così impressionato che ne parlai alla mamma. Errore!
Perché da quel giorno non volle più lasciarmi andare con la candela e dovetti farne portare due dal mio scudiero (non per niente lo chiamavo in quei casi anche Sancio). In una delle ultime spedizioni, forse l’ultima, io e Quinzio ci facemmo animo e ci infilammo in un cunicolo stretto, che si divaricava a sinistra e – insolitamente – in alto in un tratto già piuttosto interno. Quinzio che era più piccolo e magro di me e si infilò avanti. Aiutandoci con le mani salimmo, ruotando un po’ verso destra e dopo pochi metri Quinzio mise un gridolino di stupore. Che c’è?! Candela in avanti, mi allungai strofinandomi fra lui e la roccia e vidi che eravamo sbucati in una specie di piccolo fiume sotterraneo, ma non d’acqua, di melma!
Era lì a un metro o poco più sotto di noi e pur parendoci del tutto ferma, la melma, in chissà quanti millenni, aveva scavato un cunicolo semi-circolare regolarissimo, in una grotta come il Farneto dove non c’erano regolarità, ma spuntoni e rocce a casaccio.
Questa era davvero una vista sorprendente e totalmente inattesa. “Quanto sarà fonda?!” Poteva venirci l’idea di scendere quel metro e provare a camminare in quella melma che sembrava bloccata da un incantesimo con l’effetto di piccole onde, ma avevamo già paura di esserci spinti troppo avanti, oltre i ricordi di Salgari e delle sue sabbie mobili, così restammo lì sdraiati, paralleli con le due candele avanti a guardare… Quanto tempo? Non saprei, certo qualche minuto almeno, così da fissarmi quell’immagine così bene che ancor oggi riesco a vederla distintamente.
Per anni mi sono riproposto di tornare, con qualcuno pratico della grotta, per ritrovarla. Poi lessi sui giornali che l’entrata era franata e l’accesso impossibile. Dopo 25 anni di chiusura la grotta fu riaperta nel 2008, ma ormai ho rinunciato: magari rimarrei deluso, chi può dire dopo ben oltre 60 anni, cosa troverei?
Mi tengo cara e ferma quell’immagine fortissima di un corso sotterraneo che ‘scorreva’ da millenni e che noi due guardavamo quel giorno, come la materializzazione del flusso di una vita sempiterna che – allora – per noi era tutta DAVANTI.
Da sabato 16 giugno Le Grotte del Farneto, faranno da sfondo a un ciclo di spettacoli teatrali in chiave di rievocazione storica, organizzati dalla Fraternal Compagnia.
Testo e foto di Roberto Breschi
Il Teatro degli Angeli è un piccolo teatro che ha sede nell’Oratorio Santa Croce poco lontano da Via Malvezza. Vi raccontiamo come è nato!
Il Teatro degli Angeli è un piccolo teatro che ha sede nell’Oratorio Santa Croce poco lontano da via Malvezza, in via Massa Carrara 3. L’Oratorio di grande valore storico artistico, è stato costruito nel 1791 e completamente restaurato nel 2004. Per più di 10 anni è rimasto vuoto. Fino a che Claudia Rota, ora direttrice del teatro, lo ha “incontrato”…
Come è nato il Teatro degli Angeli?
Claudia Rota: Il Teatro degli Angeli è nato da un mio innamoramento per questo luogo. Un giorno, quasi per caso, parlando con il Quartiere Savena, ho avuto modo di vedere quest’oratorio, perfettamente restaurato ma rimasto in disuso per più di 10 anni e me ne sono letteralmente innamorata. Quasi scherzando ho pensato: questo non può che essere il Teatro degli Angeli, per via degli angeli che lo decorano, così ho proposto un progetto ed è nato un patto di collaborazione con il Quartiere. Il patto è in corso ormai da tre anni ed è già rinnovato per altri 2.
Cerco di coinvolgere e dare visibilità soprattutto ad artisti del territorio, sia conosciuti che emergenti. Con alcuni abbiamo ormai delle collaborazioni continuative. Gli artisti tornano perché rimangono colpiti e sono attratti dall’originalità di questo luogo, ad esempio Giorgio Comaschi spesso si esibisce su questo palco per l’atmosfera diversa che si respira.
Come è organizzato il vostro cartellone?
Claudia Rota E’ molto eterogeneo: cabaret, danza, musica, spettacoli, poesia.
Gli appuntamenti settimanali sono tre: il martedì, il venerdì e da poco anche il lunedì, giornata dedicata alla poesia, che bene si presta ad una cornice così suggestiva. I nostri prezzi sono contenuti e molto accessibili, come previsto dal patto di collaborazione. Una volta al mese proponiamo un appuntamento gratuito, dedicato a temi diversi che variano in base alle ricorrenze del mese. Abbiamo due cartelloni : uno che va da ottobre a gennaio e l’altro da febbraio a giugno con molti fuori programma, perché sono tanti gli artisti che chiedono di esibirsi. Abbiamo una settimana di teatro, una di cabaret, una di musica e una di performance contaminata.
Chi è il vostro pubblico? E come è stato accolto il Teatro degli Angeli dal territorio?
Claudia Rota: Nonostante i primi due anni siano stati un po’ duri, adesso dal terzo anno, abbiamo finalmente un grande seguito, anzi capita spesso che abbiamo il tutto esaurito. Il nostro pubblico è molto eterogeneo e di età media, proprio grazie alla varietà del nostro programma. Abbiamo anche una ventina di persone che ci hanno chiesto di abbonarsi ai nostri spettacoli. Facciamo un po’ fatica ad attrarre i più giovani.
Per quanto riguarda il territorio, inizialmente nonostante la pubblicità, non c’è stato un grande interessamento da parte degli abitanti del quartiere, probabilmente perché chi vive in un luogo tende a cercare attività di intrattenimento altrove, ma adesso ci conoscono anche i residenti della zona, che ormai ci seguono anche quando facciamo spettacoli in altri luoghi.
Il luogo è molto suggestivo ma il palco è molto piccolo. Come si svolgono in particolare gli spettacoli di danza? Il pubblico non si sente intimorito da un rapporto così diretto?
Claudia Rota: I professionisti sanno adattarsi ad ogni luogo, usano tutti gli spazi a disposizione, una sera si sono esibiti addirittura in 9, ballando anche sull’altare! Per quanto riguarda il pubblico, ci può essere un po’ di timore all’inizio a sedersi in prima fila, come succede un po’ in tutti i teatri ma poi si abituano, anzi chi viene qui, è attratto dallo spazio molto intimo e raccolto, che crea una relazione diretta con gli artisti. Quando il tipo di spettacoli lo permette, mettiamo anche delle seggiole ai lati del palco, in modo che gli spettatori possano vivere lo spettacolo molto da vicino. Facciamo anche tanti concerti di tutti i generi: musica popolare, antica, blues, jazz, rock anche perché l’acustica è ottima.
Pur essendo piccolo (ci sono circa una quarantina di posti) il Teatro degli Angeli è un teatro a tutti gli effetti e viene vissuto, sia dal pubblico che dagli artisti, come un luogo d’arte e di restituzione dell’arte alla comunità.
La stagione del Teatro degli Angeli è aperta fino a giugno. Alcuni nomi che si esibiranno? Malandrino e Veronica, Gabriele Baldoni, gli Zendar Off …
Per tutti gli aggiornamenti: Teatro Degli Angeli
di Sergio Palladini e Chloy Vlamidis
Al Circolo Il Fossolo di Bologna triplice taglio di nastro per inaugurare una nuova sala, un campo da calcio in erba sintetica e un campo polivalente coperto…
Una grande festa è in programma sabato 19 maggio dalle 18.00 al Circolo il Fossolo, uno storico centro sportivo e culturale del quartiere Savena di Bologna. Una partita a calcio della squadra pulcini del circolo, una partita di scacchi a grandezza naturale, e poi palloncini, musica e saluti istituzionali.
Sarà un triplice taglio del nastro per il Circolo di viale Felsina 52 che, grazie ad un finanziamento ricevuto da UnipolSai, cambia veste e si allarga per far spazio alle tante realtà del territorio che chiedono un luogo dove poter organizzare eventi, feste e incontri. I lavori di risistemazione della struttura hanno preso avvio qualche mese fa e ora è quasi tutto pronto per l’inaugurazione finale. Il finanziamento ha permesso di rifare completamente il campo da calcio con l’area dedicata agli spogliatoi, allestire un campo polivalente coperto e ampliare gli spazi dell’edificio che ospitano il Circolo.
La redazione partecipata ha incontrato e intervistato il presidente de “Il Fossolo” Enzo Gandolfi che ha raccontato come stanno procedendo i lavori e quali sono i programmi per il futuro.
Quali sono le novità che si devono aspettare i cittadini? Come cambia il centro?
I cittadini giovani e meno giovani avranno un posto “nuovo” da poter frequentare, ma nella sostanza per il nostro Centro non cambia nulla. Continueremo con tutti i corsi che abbiamo sempre offerto e con tutte le iniziative, in più avremo una sala nuova e ampia che potremmo mettere a disposizione dei tanti che in questi anni ci hanno chiesto uno spazio per festeggiare un compleanno oppure per fare riunioni o incontri. E soprattutto questi lavori ci permetteranno di avere una sala da dedicare al Circolo Scacchistico Bolognese, uno dei più grandi della regione, che fino ad ora migrava da una stanza all’altra con le valigie piene di scacchiere. L’altra grande ricchezza sarà poi il campo da calcio, sia quello esterno (in erba sintetica) che quello con copertura. Abbiamo già un accordo con le scuole “Manfredi” che possono usarlo al mattino per le loro attività sportive, ma l’obiettivo è ampliare la collaborazione anche con le altre scuole che sono qui intorno. I lavori di risistemazione non sono però finiti, ora dobbiamo completare la realizzazione di un parcheggio e del campo esterno per il beach volley e il beach tennis, ampliare la carreggiata per facilitare la circolazione e aprire un sentiero che attraverso il parco ci colleghi direttamente alle Manfredi, in modo da poter consentire ai bambini di raggiungere il campo senza problemi o pericoli. Poi ovviamente tutti i campi saranno aperti a chiunque abbia voglia di venire qui al Fossolo.
Aumenteranno le relazioni con le altre associazioni della zona?
Il Circolo è sempre stato aperto alla collaborazione con le altre associazioni e altre realtà del quartiere. Negli ultimi mesi siamo stati concentrati e presi dai lavori di ristrutturazione e abbiamo un po’ trascurato le nostre relazioni esterne, ma siamo aperti a tutte le forme di partecipazione. Poi come in tutte le cose ci sono periodi più frenetici e ricchi e altri, invece, più calmi.
Speriamo anche che qualcuno abbia voglia di entrare nel direttivo del circolo, per darci una mano dall’interno e prendere le redini del centro per il futuro. Il Quartiere Savena, che ci ha supportato in questo percorso, ci ha dato la concessione di questi spazi per molti anni e noi dobbiamo progettare nuovi modi e nuove strade per far funzionare tutto. Il nostro investimento e quello di UnipolSai non deve esser stato inutile. Noi ce la mettiamo tutta e aspettiamo a braccia aperte chiunque abbia voglia di impegnarsi insieme a noi.
Intervista a cura di Rita Roatti
Si avvicina la tradizionale “Festa del Baratto… Anzi del dono”, che raccoglie anche tante nuove idee, all’insegna della condivisione e della nascita di nuove relazioni tra gli abitanti. Sarà sabato 5 maggio, nella sede del Quartiere, in via Faenza 4…
Si avvicina l’appuntamento con la tradizionale “Festa del Baratto… Anzi del dono”, una giornata che raccoglie anche tante nuove idee, all’insegna della condivisione, del riciclo, della creatività e della nascita di nuove relazioni tra gli abitanti. Sarà sabato 5 maggio, nella sede del Quartiere, in via Faenza 4, a Bologna, dalle 10 alle 18.
Un appuntamento consolidato, ormai alla nona edizione, con il mercatino del baratto e la vita sostenibile promosso e realizzato dal Quartiere Savena in collaborazione con scuole e associazioni del territorio.
Ma partire dalle 15, sono tante le iniziative a corollario: scambio di saperi in sartoria, piccole librerie libere, laboratori creativi di riuso, laboratorio di fumetto e lettura, lezione aperta di break dance (per il progetto SottoSopra) e laboratorio di falegnameria. Ci sarà anche Casa Rodari, che coinvolgerà la Redazione partecipata in una originale e corale scrittura lirica… Non vogliamo dirvi di più!
Nel corso del pomeriggio, sempre sabato 5 maggio, ci sarà anche la presentazione della rassegna “Cicli-tre incontri per una vita sana e sostenibile”. Il primo, lunedì 7 maggio alle 17,30, a Fermo Immagine, via Faenza 2, sarà dedicato a “Insetti, erbacce, solo fastidi? Tutto ciò che le api possono insegnare sull’organizzazione della vita”. A tenere l’incontro Eliana Zunarelli, una delle nostre cittadine-redattrici. Lunedì 14 maggio, stessa ora e stesso luogo, si parla di “Bere sano salvaguardando l’ambiente” con Paolo Salvioli Marani, per finire martedì 5 giugno alle 15 con una passeggiata al Parco dei Gessi insieme all’associazione Hamelin. La partenza è a Fermo Immagine.
Tornando alla Festa del baratto di sabato 5 maggio, alle 18 ci si può spostare a InStabile dove si inaugura “Leila, la biblioteca degli oggetti”. InStabile è in via Pieve di Cadore 3. Qui nascerà questa particolarissima biblioteca di oggetti che potranno essere presi in prestito, condivisi per un periodo compreso tra una e quattro settimane: carretto per bici, trapani, tende, una tappatrice e molto altro.
Nella foto, la festa dello scorso anno
Anche se ufficialmente il parco della Lunetta Gamberini appartiene al Quartiere Santo Stefano, i ricordi legati ai luoghi, non hanno confini… Il contributo di un cittadino che era piccolo negli anni 50
Anche se ufficialmente il parco della Lunetta Gamberini appartiene al Quartiere Santo Stefano, i ricordi legati ai luoghi, non hanno confini… Riportiamo quindi con piacere sul blog, una testimonianza giunta alla nostra redazione, da Roberto Breschi, che ci racconta cosa rappresentava per i ragazzi, negli anni 50, La Lunetta Gamberini, soprannominata a quei tempi La Polveriera.
Ringraziamo Roberto Breschi, per questa poetica testimonianza.
Negli anni ’50 oltre via Sigonio fino alla ferrovia per Firenze erano tutti campi. Alcuni coltivati, altri lasciati allo stato brado e quello, per noi bambini della zona Mazzini, era il nostro ‘far west’ .
La zona più curiosa e prediletta era quella che noi chiamavamo della ‘polveriera’ (ma il nome ufficiale era Lunetta Gamberini), un’area incolta dove il verde ruspante era movimentato da diversi strani resti di costruzione, nascondigli ideali di giorno per noi bimbi e ragazzi, di sera per i fidanzati. Ne ricordo almeno quattro o cinque simili, ma staccati fra di loro. Queste ‘costruzioni’ – o meglio ruderi – erano come avanzi di fondamenta in parte interrate e circondate da rialzi che si elevavano fino a un paio di metri sul livello medio, il tutto ricoperto da verde spontaneo. Era agevole entrare ed uscire. In quella zona ora ci sono scuole e la palestra Moratello, oltre a un parco pubblico molto frequentato. Tutto cambiato, insomma.
Negli anni ’50 era il regno dell’avventura, circondato anche da un vago alone di zona pericolosa forse per via di quella parola ‘polveriera’ che evocava esplosioni di una guerra ancora ben presente nei pensieri dei ‘grandi’. Ora si può leggere su Internet che si trattava dei resti di edifici militari ottocenteschi, poi serviti anche per la produzione di esplosivi, di cui erano state abbattute la parti più alte e lasciati nel completo abbandono. Io e i miei due-tre amici del cuore ci andavamo nel pomeriggio con le nostre cerbottane e là, di solito, trovavamo altri ragazzi con cui ingaggiare regolari battaglie all’ultimo respiro. Ci si preparava una scorta di almeno 30 frecce di carta pronte all’uso che si usava infilare fra i capelli che, allo scopo, non dovevano essere troppo corti. Tenere le frecce fra i capelli assicurava la rapidità di ricarica dopo avere ‘sparato’ e non deformava le frecce come accade se le si tiene in tasca. La regola era che chi era colpito alla testa o al corpo era ‘morto’ mentre un colpo a braccia o gambe era una ferita e si poteva continuare a combattere. Una seconda ferita significava la ‘morte’. Ovviamente la battaglia finiva quando una squadra aveva perso tutti i combattenti. Poi c’erano le rivincite e si continuava fino a sera a meno che il richiamo di qualche mamma decimasse le formazioni. Con l’esperienza si erano sviluppate strategie di guerra sempre più raffinate. Il terreno degli scontri era concordato a priori, più o meno largo a seconda di quanti eravamo. Poi c’erano gli appostamenti, di solito nei ruderi delle ‘polveriere’ da parte di chi preferiva attendere in agguato, o gli attacchi concentrici e coordinati da parte dei più ‘arditi’. Il mio gruppetto era molto temuto, anche per la conoscenza palmo a palmo del posto che frequentavamo giornalmente per mesi all’anno. Vietatissime le frecce con lo spillo nella punta che erano invece in uso per la caccia alle lucertole (di quelle ne ho parecchie sulla coscienza), in ogni caso, pur con frecce normali, era buona norma portare un paio di occhiali da sole rimediati alla meglio, perché tutti sapevamo di un ragazzo che, anni prima, aveva perso un occhio.
Un giorno, in quel periodo, mio padre mi portò sulla torre Asinelli, dove non ero mai salito (e in effetti mai più tornato) e il mio interesse, invece delle tante chiese e piazze, ricordo che fu subito rivolto alla ‘nostra’ Lunetta Gamberini di cui riconobbi e verificai le zone dei nostri memorabili duelli. Mio padre mi aveva portato lassù per raccontarmi di quando ci doveva salire in tempo di guerra perché era stato assegnato ad un corpo ausiliario di ‘avvistatori’. Avevano a disposizione un binocolo, mappe delle strade di Bologna e un telefono e dovevano sorvegliare sia l’arrivo di aerei nemici sia, durante i bombardamenti, le zone che vedevano colpite per indirizzare i soccorsi e i vigili del fuoco. Non parlava mai di questo impegno, me lo accennò solo quella volta. Per fortuna non capitarono mai incursioni durante i suoi turni, ma so che si era sparsa la voce che i piloti americani avevano lanciato una sfida a chi riuscisse a tirare giù gli Asinelli e la bomba che distrusse la facciata della Mercanzia potrebbe avvalorare questa tesi, mai confermata.
Poi nella seconda metà degli anni ’50 i cantieri edili, superata via Sigonio iniziarono una marcia inarrestabile fino ad arrivare alla ferrovia e allora i ruderi delle ‘polveriere’ sparirono, ma noi ci eravamo fatti grandi per giocare a cerbottane e non ci pesò più di tanto: era il luminoso progresso del ‘miracolo economico’ che avanzava!
Foto di Sergio Palladini
La prossima riunione del Gruppo di Valutazione partecipata è indetta per giovedì 26 aprile alle 18 al Centro Sociale La Dacia, in via Abramo Lincoln 22/3, a Bologna…
Riprendono i lavori del Gruppo di Valutazione partecipata. La prossima riunione è indetta per giovedì 26 aprile alle 18 al Centro Sociale La Dacia, in via Abramo Lincoln 22/3, a Bologna.
Il gruppo di valutazione partecipata si occupa di monitorare e valutare la corretta realizzazione del progetto Salus Space. Obiettivo del gruppo di lavoro, guidato dalle ricercatrici dell’Istituto per la Ricerca Sociale, è aiutare i diversi partner ad affrontare i problemi che possono emergere durante il processo che sta portando alla realizzazione di Salus Space, con un occhio anche alla qualità e alla sostenibilità dei servizi e dei prodotti proposti.
Nell’incontro del 26 aprile, aperto a tutti coloro che sono interessati, verranno organizzate le attività di valutazione che saranno realizzate nei prossimi mesi.
Una corsa di Achille dietro la tartaruga: la sfida a tenere pulito il Quartiere Savena, a dispetto di alcuni cittadini che sembrano preferirlo sporco, si sta avvitando in un paradosso… Intervista ai consiglieri del Savena Di Pasquale e Matteucci
Una corsa di Achille dietro la tartaruga: la sfida a tenere pulito il Quartiere Savena, a dispetto di alcuni cittadini che sembrano preferirlo sporco, si sta avvitando in un paradosso. Più aumentano i cassonetti e le calotte, facendo scattare la differenziata al 60%, e meno si avvicina la speranza di ridurre i rifiuti abbandonati (il 4% della raccolta totale). Più si rafforza l’inseguimento agli indisciplinati con sanzioni e videosorveglianza, e meno rispetto per l’ambiente si riscontra nelle strade.
Le imminenti calotte apribili con tessere magnetiche e le nuove “tariffazioni puntuali”, che dovrebbero aumentare l’equità contributiva e responsabilizzare gli utenti, saranno i decisivi colpi di reni per raggiungere l’obiettivo o solo le ennesime e vane spinte dell’amministrazione-Sisifo al macigno-rusco? Chissà. Ma è chiaro che la sporcizia nelle nostre strade misura l’assenza di senso civico, non l’inefficienza di Hera. I luoghi aperti del Savena si sporcano anche da soli, ma le cartacce, le cicche, le sportine, le gomme da masticare, le vecchie masserizie, quelle non le porta mica il vento come la polvere o le foglie secche. Quelle cose vengono sparse distrattamente o di proposito, che poi è la stessa cosa, da persone che sanno quel che fanno, in uno spazio considerato terra di nessuno.
La politica, da parte sua, deve progettare, costruire e mantenere quartieri ordinati e gradevoli. Non sempre ci riesce, e l’onda montante del populismo prevede che le responsabilità amministrative siano additate all’odio sociale e fatte scontare nell’ordalia delle votazioni. Purtroppo però non serve rimpiazzare gli eletti senza un cambiamento degli elettori: è come voler fare il pane buono sostituendo di continuo il fornaio ma con la stessa farina guasta. E della responsabilità di tutti i cittadini, di chi siede su uno scranno e di chi ce lo mette, si discute poco e distrattamente.
Cerchiamo ora di farlo noi, tornando a parlare della raccolta differenziata nel nostro quartiere insieme a Giovanna Di Pasquale e Mauro Matteucci, consiglieri di maggioranza del Quartiere Savena.
“Non sono mica la tua serva!”, urlava la mamma quando lasciavi la camera come un porcile. Forse scarseggiano le mamme severe, ma non credete che l’introduzione delle calotte abbia dato un buon alibi ai cittadini del Savena per essere meno coscienziosi, abbandonare a terra il rusco e scaricare le colpe sull’amministrazione pubblica, una mamma-serva che pulisce quello che loro sporcano?
Giovanna Di Pasquale: «Cambiare le nostre abitudini è molto faticoso. La raccolta differenziata è un modo nuovo di gestire i rifiuti e, come tutte le innovazioni, è difficile da accettare. È successo anche con le calotte. Questo dispositivo, proprio per come è fatto, fa diventare necessario differenziare in modo forte e quindi ha creato uno scarto ancora più forte fra quei cittadini realmente convinti della bontà della scelta di differenziare i rifiuti, e che si impegnano in questo lavoro, e quei cittadini – magari già un po’ scettici – che non lo fanno e che spesso utilizzano la calotta come un alibi».
Mauro Matteucci: «Probabilmente cambiare le nostre abitudini, per ottenere un beneficio collettivo, è ostico da digerire. Prima si buttava indistintamente e a casaccio. Era comodo, tanto pagava Pantalone. Ora no, non è più così. Abbiamo maltrattato l’ambiente che ci circonda e siamo diventati meno civili e più egoisti, e i nodi vengono al pettine. Quindi d’ora in poi tutti noi dobbiamo comportarci civilmente per il bene comune».
Dal prossimo ottobre ogni bolognese disporrà di una tessera per il conferimento del pattume, con prevedibili sanzioni (per i più sbadati) e auspicabili sconti sulla TARI (per i più virtuosi). Cos’altro si potrebbe fare per accrescere la raccolta differenziata e diffondere fra i cittadini una vera cultura del rispetto ambientale?
Giovanna : «Credo che si faccia già molto e che la direzione indicata sia quella giusta perché tiene insieme sia la sanzione (il risvolto, chiamiamolo così, punitivo), sia l’aspetto premiante, che motiva ancora di più chi si impegna gratificandolo con un segno concreto come il possibile sconto».
Mauro: «Con l’introduzione della nuova tariffa “puntuale” – già applicata con successo in altre realtà della Regione – ci saranno sicuramente benefici per i più bravi e ripercussioni positive sull’andamento della raccolta differenziata».
Oggi l’opinione pubblica viene sensibilizzata attraverso i principali mezzi di comunicazione (giornali, internet, radio e televisioni locali). Credete che il Consiglio del Quartiere Savena dovrebbe sfruttare più spesso questi canali per esprimersi su tutte le questioni peculiari del suo territorio, come è successo a seguito dell’introduzione delle calotte?
Giovanna: «Certamente, è fondamentale trovare il modo di comunicare e informare in modo puntuale e completo sul lavoro che si svolge in Consiglio di Quartiere su aspetti che riguardano la vita concreta di noi cittadini di Savena. Questo significa provare a utilizzare tutti i mezzi possibili, integrando i mezzi ad alta tecnologia con quelli più tradizionali».
Mauro: «Abbiamo già fatto due assemblee aperte al pubblico con la presenza di tutti gli enti che si occupano dei rifiuti, dalla Regione, alla città Metropolitana, al Comune ed Hera. Altre a breve verranno indette per illustrare le ultime volontà».
Le persone tendono a non sporcare quando vivono in una comunità che censura le imbrattature con la disapprovazione sociale, visibile e concreta. Cosa pensate di quegli abitanti del Savena che, muniti di pettorina, percorrono le strade del quartiere raccogliendo sporcizia e parlando con i passanti?
Giovanna: «Quando le persone si attivano in modo positivo, collaborativo e autonomo, cercando di portare un proprio contributo alla risoluzione dei problemi (piccoli o grandi che siano), si genera spesso una crescita di benessere sia per chi è direttamente coinvolto sia per chi ne beneficia».
Mauro: «È una iniziativa lodevole da propagandare per tutto il quartiere come esempio di comportamenti degni di questa città. A presto anche nel Fossolo faremo un’iniziativa analoga».
Cosa pensate dell’idea di affidare a migranti (adeguatamente formati) il compito di monitorare le isole ecologiche per aiutare i cittadini nel loro utilizzo?
Giovanna: «Dare ai migranti una sorta di status positivo, un ruolo di persone utili alla società che in quel momento li accoglie, può essere una strada importante per facilitare un clima di accoglienza e di convivenza un po’ più sereno».
Mauro: «Studiato bene, e in accordo con gli enti e le associazioni competenti, mi sembra un’ottima mossa intesa ad avvicinare i migranti e i bolognesi ad essere più corretti».
Spesso le cartacce si accumulano proprio vicino ai cestini vuoti. Non sarà che gli abitanti di “basket city” si credono i campioni mondiali di carta-canestro e invece sono delle schiappe? Secondo voi sporcano di più i tifosi della Virtus o quelli della Fortitudo?
Giovanna: «Impossibile rispondere… L’invito che vorrei fare a tutti noi cittadini di “basket city” è di continuare ad allenarci per migliorare la nostra percentuale di tiro».
Mauro: «Per me non sono tifosi del basket: vorrei vedere se fanno così in casa loro!».
di Sergio Palladini
le foto (una delle quali scattata da Mauro Matteucci) sono prese dalla pagina Facebook “Residenti Zona Fossolo 1”
Quartiere Savena, 9 aprile: il writing apre l’edizione 2018 del progetto SottoSopra, promosso da Selene Centro Studi / Ekodanza e rivolto ad adolescenti
Quartiere Savena, 9 aprile: il writing apre l’edizione 2018 del progetto SottoSopra, promosso da Selene Centro Studi / Ekodanza e rivolto ad adolescenti fra i 12 e i 18 anni. Il primo appuntamento è alle 15:30 con Rusty, al parco del centro sportivo Pertini. Il progetto propone anche quest’anno, in maniera totalmente gratuita, la cultura hip hop come strumento educativo, passando attraverso la consapevolezza del corpo e dei suoi linguaggi, delle sue potenzialità di scoperta personale e di condivisione con l’altro.
Ogni laboratorio si concluderà con una restituzione finale che, grazie all’intervento di Martina del Prete (mediatrice culturale), avrà il compito di “chiudere il cerchio” su ogni riflessione attivata negli incontri previsti.
E’ un’iniziativa gratuita, che si svolge in spazi comuni, le piazze e le strade del quartiere. “Per entrare in contatto con le nuove generazioni, c’è bisogno di seguire i giovani nei luoghi dove hanno già costruito una loro identità di gruppo e di relazione fra di loro” ci ha spiegato Roberta Zerbini, responsabile pedagogico e didattico del settore danza e ginnastiche dell’Associazione.
Per questo motivo, i laboratori urbani prenderanno vita in quegli spazi pubblici che SottoSopra ha potuto identificare come “luoghi identitari dei giovani”, grazie all’esperienza maturata nelle precedenti edizioni e alla sinergia attiva con le istituzioni e le realtà del territorio (fra cui il Quartiere Savena, i Servizi Educativi, i CAV, i Servizi Sociali e l’Educativa di Strada).
Al tempo stesso il progetto ha scelto anche di esserci in occasioni di incontro cittadino come la Festa del Baratto al Savena e la Festa di strada di via Abba, previste in maggio. Il progetto è stato sostenuto dal Quartiere Savena e dalla Fondazione del Monte.
In via Genova 10, nel Quartiere Savena di Bologna, poco prima del capolinea dell’autobus 27, c’è la Biblioteca Comunale “Natalia Ginzburg”. La Redazione Partecipata ha intervistato la direttrice Elisa Rosignoli per farsi raccontare le attività della biblioteca…
In via Genova 10, poco prima del capolinea dell’autobus 27, c’è la Biblioteca Comunale “Natalia Ginzburg”. Siamo a ridosso degli argini del Savena in una zona verde della città (poco lontano si apre il grande Parco dei Cedri), in una zona di confine che separa Bologna da San Lazzaro. Elisa Rosignoli, direttrice della Biblioteca, ci ha accolto in un lunedì mattina di sole, quando la biblioteca è chiusa al pubblico, ma gli operatori sono tutti indaffarati a preparare il lavoro per i giorni successivi, mentre fuori dalla porta una squadra di addetti alle pulizie riordina il cortile.
Rita, una delle cittadine redattrici del nostro blog, ha voluto fare questa intervista per raccontare come “sopravvive” una biblioteca di periferia, molto lontana dalle vie del centro e dal via vai di studenti universitari.
Quali sono i progetti della biblioteca e come ha impostato la sua direzione?
La nostra è una biblioteca di pubblica lettura, quindi si rivolge a un po’ tutti i cittadini, da 0 a 99 anni, quindi abbiamo dei progetti sia che riguardano la primissima infanzia e sia risorse che vengono utilizzate da un pubblico più avanti negli anni. Questa è la caratteristica di tutte le 11 biblioteche di pubblica lettura che come la Ginzbrug fanno parte dell’Istituzione Biblioteche. Pubblica lettura si intende sia aggiornamento e formazione delle persone, come ad esempio gli studenti, sia predisporre attività per il tempo libero. Questo è un concetto che magari non è noto a tutti, però in biblioteca si devono trovare anche delle risorse per divertirsi. E infatti gran parte del nostro pubblico utilizza la biblioteca per impiegare il tempo libero in maniera diversa da quello che può essere guardare la televisione… Noi forniamo risorse principalmente legate alla lettura, ma abbiamo anche una discreta raccolta di film.
L’Istituzione Biblioteche (che ha tolto ai Quartieri la gestione delle biblioteche dal punto di vista amministrativo) è nata nel 2009 e da allora è stata fatta la scelta di unificare tutte le biblioteche in modo da riuscire a gestirle in modo uniforme, dal mio punto di vista una scelta vincente. Per esempio è stata fatta una tessera unica per tutte le biblioteche dell’Istituzione, sono stati unificati una serie di servizi tra cui la gestione dei solleciti, dei ritardi e una serie di passaggi per cui l’utente se non restituisce un libro in una biblioteca, dopo un po’ non può prenderne neanche nelle altre. In più c’è uno scambio di informazioni, un sito unico con le pagine tutte uguali, ci interroghiamo per le iniziative, c’è il vantaggio di una rete di biblioteche che collaborano e avendo lo stesso direttore puntano allo stesso obiettivo, mentre prima non era così.
Ho notato che questa biblioteca attira molti studenti universitari, come mai?
Gli studenti permangono per tante ore qui in biblioteca, a volte dalle 8,30 alle 19. Studiano, chiacchierano e socializzano, quindi l’impressione è quella di un luogo molto frequentato dai giovani. Però ogni anno abbiamo 4 settimane in cui facciamo delle verifiche, segnando tutte le persone che entrano e indicando anche se sono universitari o no. Gli studenti universitari, in media, sono intorno al 30-35% quindi non sono pochi, però non sono neanche la maggioranza del nostro pubblico.
I nostri dati parlano di 100.000 ingressi annuali in media. Sono dati che possiamo confrontare anche con quelli del prestito. La fascia degli universitari come utenti del prestito è molto più bassa: abbiamo tra i 5.500 e 6.000 utenti attivi – persone che prendono almeno un libro o un film all’anno – e di questi la fascia più alta di prestito è tra 41 e 60 anni. Noi abbiamo anche tantissimi utenti 61-90 e questo è un dato interessante, vuol dire che siamo stimolanti anche per questa fascia di età. Abbiamo anche persone di una certa età che utilizzano i nostri pc, magari sono persone che non hanno il computer a casa e hanno bisogno di usare la rete. In più c’è anche un servizio di volontariato della Regione che si chiama Pane e Internet che serve ad aiutare le persone che non hanno dimestichezza con il web. Cerchiamo di fornire servizi per varie fasce di età, a seconda delle esigenze che vediamo o in base a quello che ci segnalano. Un esempio: spesso gli utenti di Pane e Internet ci chiedono aiuto per lo smartphone o il tablet e ora grazie ad un progetto che abbiamo fatto come Istituzione, insieme a studenti delle superiori in alternanza scuola lavoro, partirà ad aprile un’attività di supporto su questo.
Oggi tutto passa dal digitale, come sopravvive una biblioteca periferica a tutto questo?
È vero che siamo in periferia, ma ci sono molte persone che non amano andare in centro, questo è un quartiere che offre talmente tante possibilità che molte persone amano frequentarlo e animarlo, sanno che se vengono qui incontrano qualcuno che conoscono. Una volta una persona mi ha detto ‘meno male che ci siete voi, il medico mi ha ordinato di fare un po’ di strada ogni giorno e io cosa faccio? Esco e vengo in biblioteca, leggo il giornale e torno a casa’. In più grazie al servizio del prestito circolante, partito un paio di anni fa, è possibile avere qui molti dei libri che sono in centro e in altre biblioteche. In più noi avendo dei numeri di affluenza giornaliera non altissimi riusciamo ad offrire un servizio più mirato e dedicato alla persona… Poi abbiamo anche un gruppo di lettura, decidiamo tutti insieme il libro e poi ci confrontiamo. Assolviamo a una funzione sociale che difficilmente si può superare. Siamo uno spazio fisico per lo studente, uno spazio per le persone che vengono a leggere il giornale e per chi sa di poter incontrare qualcuno che conosce per fare due chiacchiere. Le biblioteche hanno colto la sfida del digitale, perché molta cultura e molta informazione passa dal web, e sono state create le sale internet, le sale di videoscrittura, dove le persone che non hanno accesso a questo tipo di risorse possono utilizzarle ugualmente colmando il digital divide. L’Istituzione Biblioteche di Bologna ha già aderito a una piattaforma che si chiama media library: tutti i nostri utenti hanno diritto ad utilizzarla per accedere a libri digitali, riviste, quotidiani, pubblicazioni periodiche. Tutto ad accesso gratuito. La nostra vocazione democratica, cioè garantire a tutti l’accesso, si muove anche attraverso il digitale.
Come funziona il progetto “Nati per Leggere”?
Il progetto è nazionale a cui ha aderito il Comune di Bologna e tutte le biblioteche comunali come la Ginzburg. Nati per Leggere mira a diffondere la lettura ad alta voce fin dal primo anno di vita, perché ha diversi benefici sui bambini. La cosa interessante di questo progetto è aver coinvolto pediatri e bibliotecari: le letture si svolgono in biblioteca, ma sono i pediatri a proporlo ai genitori. Il loro compito è far capire l’importanza di questo tipo di attività, della lettura fatta ai bambini e della possibilità di far sentire anche dei suoni. C’è inoltre una parte di Nati per Leggere che inizia ancora prima, quando filastrocche o brevi estratti dai libri possono essere letti anche durante gli ultimi mesi di gravidanza.
Intervista realizzata da Rita Roatti
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