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Anche se ufficialmente il parco della Lunetta Gamberini appartiene al Quartiere Santo Stefano, i ricordi legati ai luoghi, non hanno confini… Riportiamo quindi con piacere sul blog, una testimonianza giunta alla nostra redazione, da Roberto Breschi, che ci racconta cosa rappresentava per i ragazzi, negli anni 50, La Lunetta Gamberini, soprannominata a quei tempi La Polveriera.

Ringraziamo Roberto Breschi, per questa poetica testimonianza.

Negli anni ’50 oltre via Sigonio fino alla ferrovia per Firenze erano tutti campi. Alcuni coltivati, altri lasciati allo stato brado e quello, per noi bambini della zona Mazzini, era il nostro ‘far west’ .

La zona più curiosa e prediletta era quella che noi chiamavamo della ‘polveriera’ (ma il nome ufficiale era Lunetta Gamberini), un’area incolta dove il verde ruspante era movimentato da diversi strani resti di costruzione, nascondigli ideali di giorno per noi bimbi e ragazzi, di sera per i fidanzati. Ne ricordo almeno quattro o cinque simili, ma staccati fra di loro. Queste ‘costruzioni’ – o meglio ruderi – erano come avanzi di fondamenta in parte interrate e circondate da rialzi che si elevavano fino a un paio di metri sul livello medio, il tutto ricoperto da verde spontaneo. Era agevole entrare ed uscire. In quella zona ora ci sono scuole e la palestra Moratello, oltre a un parco pubblico molto frequentato. Tutto cambiato, insomma.

Negli anni ’50 era il regno dell’avventura, circondato anche da un vago alone di zona pericolosa forse per via di quella parola ‘polveriera’ che evocava esplosioni di una guerra ancora ben presente nei pensieri dei ‘grandi’. Ora si può leggere su Internet che si trattava dei resti di edifici militari ottocenteschi, poi serviti anche per la produzione di esplosivi, di cui erano state abbattute la parti più alte e lasciati nel completo abbandono. Io e i miei due-tre amici del cuore ci andavamo nel pomeriggio con le nostre cerbottane e là, di solito, trovavamo altri ragazzi con cui ingaggiare regolari battaglie all’ultimo respiro. Ci si preparava una scorta di almeno 30 frecce di carta pronte all’uso che si usava infilare fra i capelli che, allo scopo, non dovevano essere troppo corti. Tenere le frecce fra i capelli assicurava la rapidità di ricarica dopo avere ‘sparato’ e non deformava le frecce come accade se le si tiene in tasca. La regola era che chi era colpito alla testa o al corpo era ‘morto’ mentre un colpo a braccia o gambe era una ferita e si poteva continuare a combattere. Una seconda ferita significava la ‘morte’. Ovviamente la battaglia finiva quando una squadra aveva perso tutti i combattenti. Poi c’erano le rivincite e si continuava fino a sera a meno che il richiamo di qualche mamma decimasse le formazioni. Con l’esperienza si erano sviluppate strategie di guerra sempre più raffinate. Il terreno degli scontri era concordato a priori, più o meno largo a seconda di quanti eravamo. Poi c’erano gli appostamenti, di solito nei ruderi delle ‘polveriere’ da parte di chi preferiva attendere in agguato, o gli attacchi concentrici e coordinati da parte dei più ‘arditi’. Il mio gruppetto era molto temuto, anche per la conoscenza palmo a palmo del posto che frequentavamo giornalmente per mesi all’anno. Vietatissime le frecce con lo spillo nella punta che erano invece in uso per la caccia alle lucertole (di quelle ne ho parecchie sulla coscienza), in ogni caso, pur con frecce normali, era buona norma portare un paio di occhiali da sole rimediati alla meglio, perché tutti sapevamo di un ragazzo che, anni prima, aveva perso un occhio.

Un giorno, in quel periodo, mio padre mi portò sulla torre Asinelli, dove non ero mai salito (e in effetti mai più tornato) e il mio interesse, invece delle tante chiese e piazze, ricordo che fu subito rivolto alla ‘nostra’ Lunetta Gamberini di cui riconobbi e verificai le zone dei nostri memorabili duelli. Mio padre mi aveva portato lassù per raccontarmi di quando ci doveva salire in tempo di guerra perché era stato assegnato ad un corpo ausiliario di ‘avvistatori’. Avevano a disposizione un binocolo, mappe delle strade di Bologna e un telefono e dovevano sorvegliare sia l’arrivo di aerei nemici sia, durante i bombardamenti, le zone che vedevano colpite per indirizzare i soccorsi e i vigili del fuoco. Non parlava mai di questo impegno, me lo accennò solo quella volta. Per fortuna non capitarono mai incursioni durante i suoi turni, ma so che si era sparsa la voce che i piloti americani avevano lanciato una sfida a chi riuscisse a tirare giù gli Asinelli e la bomba che distrusse la facciata della Mercanzia potrebbe avvalorare questa tesi, mai confermata.

Poi nella seconda metà degli anni ’50 i cantieri edili, superata via Sigonio iniziarono una marcia inarrestabile fino ad arrivare alla ferrovia e allora i ruderi delle ‘polveriere’ sparirono, ma noi ci eravamo fatti grandi per giocare a cerbottane e non ci pesò più di tanto: era il luminoso progresso del ‘miracolo economico’ che avanzava!

Foto di Sergio Palladini

 

Una corsa di Achille dietro la tartaruga: la sfida a tenere pulito il Quartiere Savena, a dispetto di alcuni cittadini che sembrano preferirlo sporco, si sta avvitando in un paradosso. Più aumentano i cassonetti e le calotte, facendo scattare la differenziata al 60%, e meno si avvicina la speranza di ridurre i rifiuti abbandonati (il 4% della raccolta totale). Più si rafforza l’inseguimento agli indisciplinati con sanzioni e videosorveglianza, e meno rispetto per l’ambiente si riscontra nelle strade.

rifiuti abbandonati
Le imminenti calotte apribili con tessere magnetiche e le nuove “tariffazioni puntuali”, che dovrebbero aumentare l’equità contributiva e responsabilizzare gli utenti, saranno i decisivi colpi di reni per raggiungere l’obiettivo o solo le ennesime e vane spinte dell’amministrazione-Sisifo al macigno-rusco? Chissà. Ma è chiaro che la sporcizia nelle nostre strade misura l’assenza di senso civico, non l’inefficienza di Hera. I luoghi aperti del Savena si sporcano anche da soli, ma le cartacce, le cicche, le sportine, le gomme da masticare, le vecchie masserizie, quelle non le porta mica il vento come la polvere o le foglie secche. Quelle cose vengono sparse distrattamente o di proposito, che poi è la stessa cosa, da persone che sanno quel che fanno, in uno spazio considerato terra di nessuno.

La politica, da parte sua, deve progettare, costruire e mantenere quartieri ordinati e gradevoli. Non sempre ci riesce, e l’onda montante del populismo prevede che le responsabilità amministrative siano additate all’odio sociale e fatte scontare nell’ordalia delle votazioni. Purtroppo però non serve rimpiazzare gli eletti senza un cambiamento degli elettori: è come voler fare il pane buono sostituendo di continuo il fornaio ma con la stessa farina guasta. E della responsabilità di tutti i cittadini, di chi siede su uno scranno e di chi ce lo mette, si discute poco e distrattamente.
Cerchiamo ora di farlo noi, tornando a parlare della raccolta differenziata nel nostro quartiere insieme a Giovanna Di Pasquale e Mauro Matteucci, consiglieri di maggioranza del Quartiere Savena.

“Non sono mica la tua serva!”, urlava la mamma quando lasciavi la camera come un porcile. Forse scarseggiano le mamme severe, ma non credete che l’introduzione delle calotte abbia dato un buon alibi ai cittadini del Savena per essere meno coscienziosi, abbandonare a terra il rusco e scaricare le colpe sull’amministrazione pubblica, una mamma-serva che pulisce quello che loro sporcano?

Giovanna Di Pasquale: «Cambiare le nostre abitudini è molto faticoso. La raccolta differenziata è un modo nuovo di gestire i rifiuti e, come tutte le innovazioni, è difficile da accettare. È successo anche con le calotte. Questo dispositivo, proprio per come è fatto, fa diventare necessario differenziare in modo forte e quindi ha creato uno scarto ancora più forte fra quei cittadini realmente convinti della bontà della scelta di differenziare i rifiuti, e che si impegnano in questo lavoro, e quei cittadini – magari già un po’ scettici – che non lo fanno e che spesso utilizzano la calotta come un alibi».

Rifiuti ingombranti

Rifiuti in via Misa

Mauro Matteucci: «Probabilmente cambiare le nostre abitudini, per ottenere un beneficio collettivo, è ostico da digerire. Prima si buttava indistintamente e a casaccio. Era comodo, tanto pagava Pantalone. Ora no, non è più così. Abbiamo maltrattato l’ambiente che ci circonda e siamo diventati meno civili e più egoisti, e i nodi vengono al pettine. Quindi d’ora in poi tutti noi dobbiamo comportarci civilmente per il bene comune».

 

Dal prossimo ottobre ogni bolognese disporrà di una tessera per il conferimento del pattume, con prevedibili sanzioni (per i più sbadati) e auspicabili sconti sulla TARI (per i più virtuosi). Cos’altro si potrebbe fare  per accrescere la raccolta differenziata e diffondere fra i cittadini una vera cultura del rispetto ambientale?

Giovanna : «Credo che si faccia già molto e che la direzione indicata sia quella giusta perché tiene insieme sia la sanzione (il risvolto, chiamiamolo così, punitivo), sia l’aspetto premiante, che motiva ancora di più chi si impegna gratificandolo con un segno concreto come il possibile sconto».

Mauro: «Con l’introduzione della nuova tariffa “puntuale” – già applicata con successo in altre realtà della Regione – ci saranno sicuramente benefici per i più bravi e ripercussioni positive sull’andamento della raccolta differenziata».

 

Oggi l’opinione pubblica viene sensibilizzata attraverso i principali mezzi di comunicazione (giornali, internet, radio e televisioni locali). Credete che il Consiglio del Quartiere Savena dovrebbe sfruttare più spesso questi canali per esprimersi su tutte le questioni peculiari del suo territorio, come è successo a seguito dell’introduzione delle calotte?

Giovanna: «Certamente, è fondamentale trovare il modo di comunicare e informare in modo puntuale e completo sul lavoro che si svolge in Consiglio di Quartiere su aspetti che riguardano la vita concreta di noi cittadini di Savena. Questo significa provare a utilizzare tutti i mezzi possibili, integrando i mezzi ad alta tecnologia con quelli più tradizionali».

Mauro: «Abbiamo già fatto due assemblee aperte al pubblico con la presenza di tutti gli enti che si occupano dei rifiuti, dalla Regione, alla città Metropolitana, al Comune ed Hera. Altre a breve verranno indette per illustrare le ultime volontà».

 

Le persone tendono a non sporcare quando vivono in una comunità che censura le imbrattature con la disapprovazione sociale, visibile e concreta. Cosa pensate di quegli abitanti del Savena che, muniti di pettorina, percorrono le strade del quartiere raccogliendo sporcizia e parlando con i passanti?

Articolo del Carlino su volontari per raccogliere rifiuti

Resto del Carlino, 7 febbraio 2018

Giovanna: «Quando le persone si attivano in modo positivo, collaborativo e autonomo, cercando di portare un proprio contributo alla risoluzione dei problemi (piccoli o grandi che siano), si genera spesso una crescita di benessere sia per chi è direttamente coinvolto sia per chi ne beneficia».

Mauro: «È una iniziativa lodevole da propagandare per tutto il quartiere come esempio di comportamenti degni di questa città. A presto anche nel Fossolo faremo un’iniziativa analoga».

 

Cosa pensate dell’idea di affidare a migranti (adeguatamente formati) il compito di monitorare le isole ecologiche per aiutare i cittadini nel loro utilizzo?

Giovanna: «Dare ai migranti una sorta di status positivo, un ruolo di persone utili alla società che in quel momento li accoglie, può essere una strada importante per facilitare un clima di accoglienza e di convivenza un po’ più sereno».

Mauro: «Studiato bene, e in accordo con gli enti e le associazioni competenti, mi sembra un’ottima mossa intesa ad avvicinare i migranti e i bolognesi ad essere più corretti».

 

Spesso le cartacce si accumulano proprio vicino ai cestini vuoti. Non sarà che gli abitanti di “basket city” si credono i campioni mondiali di carta-canestro e invece sono delle schiappe? Secondo voi sporcano di più i tifosi della Virtus o quelli della Fortitudo?

Giovanna: «Impossibile rispondere… L’invito che vorrei fare a tutti noi cittadini di “basket city” è di continuare ad allenarci per migliorare la nostra percentuale di tiro».

Mauro: «Per me non sono tifosi del basket: vorrei vedere se fanno così in casa loro!».

di Sergio Palladini
le foto (una delle quali scattata da Mauro Matteucci) sono prese dalla pagina Facebook “Residenti Zona Fossolo 1”

Quartiere Savena, 9 aprile: il writing apre l’edizione 2018 del progetto SottoSopra, promosso da Selene Centro Studi / Ekodanza e rivolto ad adolescenti fra i 12 e i 18 anni. Il primo appuntamento è alle 15:30 con Rusty, al parco del centro sportivo Pertini. Il progetto propone anche quest’anno, in maniera totalmente gratuita, la cultura hip hop come strumento educativo, passando attraverso la consapevolezza del corpo e dei suoi linguaggi, delle sue potenzialità di scoperta personale e di condivisione con l’altro.

progetto SottoSopra

Ogni laboratorio si concluderà con una restituzione finale che, grazie all’intervento di Martina del Prete (mediatrice culturale), avrà il compito di “chiudere il cerchio” su ogni riflessione attivata negli incontri previsti.

E’ un’iniziativa gratuita, che si svolge in spazi comuni, le piazze e le strade del quartiere. “Per entrare in contatto con le nuove generazioni, c’è bisogno di seguire i giovani nei luoghi dove hanno già costruito una loro identità di gruppo e di relazione fra di loro” ci ha spiegato Roberta Zerbini, responsabile pedagogico e didattico del settore danza e ginnastiche dell’Associazione.

Per questo motivo, i laboratori urbani prenderanno vita in quegli spazi pubblici che SottoSopra ha potuto identificare come “luoghi identitari dei giovani”, grazie all’esperienza maturata nelle precedenti edizioni e alla sinergia attiva con le istituzioni e le realtà del territorio (fra cui il Quartiere Savena, i Servizi Educativi, i CAV, i Servizi Sociali e l’Educativa di Strada).

Al tempo stesso il progetto ha scelto anche di esserci in occasioni di incontro cittadino come la Festa del Baratto al Savena e la Festa di strada di via Abba, previste in maggio. Il progetto è stato sostenuto dal Quartiere Savena e dalla Fondazione del Monte.

Qui il calendario degli appuntamenti

Tra i cittadini giornalisti della redazione di Salus Space c’è Marilena Frati, esperta di storia locale e Presidente dell’Associazione “Cultura e Arte del ‘700”. E’ l’autrice del testo che vi proponiamo, dedicato alla storia dell’area che comprende Villa Salus e via Malvezza, detta Cerro Maggiore. Il brano fa parte della ricerca storica pubblicata nel 1999 dall’Associazione con il titolo “Qui dove scorre il fiume”.

La pubblicazione Qui dove scorre il fiume

Anche il viandante più frettoloso, arrivato in quella che era chiamata località “Il Cerro”, dal latino” cerrus”, l’albero simile alla quercia molto frequente nelle nostre terre, non può non chiedersi  a chi appartenesse quell’antico caseggiato che ora campeggia imponente fra il Cimitero dei Polacchi e il fianco della via Vighi, stradone che conduce alla tangenziale, uscita 12.

Questa antica costruzione a corte quadrata, con torre colombaia centrale che svetta verso l’alto e rende equilibrata la simmetria della fabbrica, suscita curiosità e conduce alla memoria un passato storico da riscoprire.

Il “ Cerro Maioris”, grazie alla fertilità del suo terreno, trae le sue origini da ben lontano: sia Polibio (210-125 a.C.) – storico greco vissuto a Roma – sia Strabone (58 a.C. – 21 d. C.) ci ricordano che questa zona a est di “Bononia” era abitata già in epoca Villanoviana e fu poi scelta quale dimora dalla “Octava Legio Aemilia”. E’ certo che questa fu una zona che per ricchezza si prestava agli insediamenti. Esisteva una selva di “cerri” (da cui il toponimo Cerro e Roveri) che permetteva l’allevamento dei maiali grazie alla ricca produzione di ghiande.

Ma è solo nel 1084 che troviamo menzionato il toponimo “Cerro Maioris” (forse perché lì si trovava il cerro più grande o più vecchio) in certe carte notarili scritte senz’altro per atti di compravendita di appezzamenti e vigne. Nell’archivio di Pizzocalvo viene ricordata infatti una confraternita di preti che vendettero un appezzamento di terreno fuori della città di Bologna e vicino alla chiesa di San Prospero.

Poche sono le date certe che ci ricordano l’evolversi di questa comunità.
Nel 1223 Cerro Maggiore, che possedeva una piccola chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio, con le sue poche anime, passò al quartiere di San Cassiano sotto il giuspatronato delle monache dei santi Vitale e Agricola.
Certamente le monache fra quelle mura elessero un ospedale che, all’occorrenza, venne trasformato in Lazzaretto, poiché, per disposizioni governative, tutti i malati infetti venivano accuditi fuori città per evitare o allontanare i contagi. (…)

Nel 1371 gli estimi riportano la presenza di 27 nuclei familiari contro i 10 del 1249, nuclei tutti dediti alla coltura dei campi e all’allevamento. (…)

Le vicende comunali e le belligeranze fra le famiglie aristocratiche bolognesi emergenti che si contendevano il potere, con i ripetuti assalti inferti dalle truppe mercenarie assoldate da questo o quel signore, causarono alla fine del XV secolo, il graduale abbandono di queste dimore del Borgo antico da parte dei residenti. Lo spopolamento provocò anche profondi mutamenti economici: gli ex contadini della zona, che andarono verso la città, abbandonarono a poco a poco l’agricoltura e si dedicarono al commercio e all’artigianato, impoverendo sempre più quelle zone abbandonate a se stesse e ai saccheggi. (…)

Non si conoscono esattamente tutti i passaggi di proprietà dal XVI secolo in poi fino a quando una notifica del 1859 del cardinale Legato Milesi parla dell’espropriazione di quei terreni necessari per la costruzione della ferrovia. (…)

Senz’altro il complesso passò alla famiglia Malvezzi nella metà dell’800, ingrandendo così la proprietà terriera della famiglia che in quella zona possedeva dal 1835 anche la villa settecentesca fatta costruire in quei paraggi nel 1777 da A.F. Monti , luogotenente di Napoleone Bonaparte, da un architetto francese,ora Villa Salus (come critto da Umberto Beseghi  in “ Castelli e Ville bolognesi”).
A ricordo dell’antica proprietà Malvezzi è rimasto solo il nome della via Malvezza.
Il complesso del Cerro venne venduto nel 1946 dall’Onorevole Cacciari alla famiglia Ansaloni che trasformò il terreno in vivaio. (…)

Nel 1949/50 il Prof. Oscar Scaglietti acquistò l’intera proprietà con la villa settecentesca che, negli anni successivi, pur mantenendo intatta la sua veste storica , divenne la parte centrale  dell’immobile adibito a Casa di Cura, nota nel mondo col nome di “Villa Salus”, prestigioso centro ortopedico. (…)

Marilena Frati

Cosa sta accadendo dietro ai cancelli di Villa Salus? E nelle stanze dei partner del progetto Salus Space? Abbiamo chiesto a Inti Bertocchi, dell’ Istituzione per l’inclusione sociale e comunitaria “don Paolo Serra Zanetti” del Comune di Bologna, di aggiornarci su tutto quello che sta accadendo…

La ditta incaricata della demolizione di Villa Salus sta attualmente lavorando all’interno dell’edificio, per asportare l’amianto rinvenuto sulle tubature. Intanto proseguono le attività di redazione del progetto definitivo che dovrà essere approvato dalla giunta del Comune di Bologna, prima della conclusione dei lavori di demolizione.
Sta proseguendo anche l’attività di coprogettazione, che coinvolge tutti i partner del progetto: il 31 gennaio 2018 si è svolto un incontro a Palazzo d’Accursio, per organizzare con metodo tutte le idee e i suggerimenti dei partner per la costruzione del modello di sostenibilità economica. Tramite lo strumento del Business Model Canvas è stato sviluppato un primo modello di sostenibilità economica, strutturato sia per l’intero progetto sia per sottoprogetti. Sono state esaminate le tre aree tematiche che si riferiscono ai tre edifici principali: l’edificio serra (dove troveranno spazio il ristorante, il laboratorio ed il teatro), l’edificio residenziale (dove, oltre agli appartamenti, troverà spazio anche il bed and breakfast) e il centro studi, localizzato nella ex camera iperbarica (che conterrà la sala convegni, gli uffici e lo spazio di coworking).
Il 27 febbraio 2018, sempre a Palazzo D’Accursio, si è svolto un secondo incontro di coprogettazione, per coinvolgere non solo i partner di progetto ma anche i diversi uffici comunali, le cui competenze ed esperienze nelle diverse aree tematiche di Salus Space risultano fondamentali per la definizione del modello di sostenibilità. L’obiettivo di questo incontro con gli esperti dei vari settori è stato quello di raccogliere consigli professionali e ulteriori proposte da chi opera da tempo nei diversi ambiti di pertinenza del progetto, al fine di individuare possibili sinergie e suggerimenti aggiuntivi, per la costruzione del modello di sostenibilità definitivo.

riunione partner
All’incontro hanno partecipato gli esperti dei seguenti settori: Imprese creative (Progetto Incredibol), Politiche Abitative, Economia e Promozione della Città, Educazione Istruzione e Nuove Generazioni, Cultura, Cittadinanza attiva, Comunicazione, Politiche Giovanili, Riqualificazione Urbana, Urbanistica, Settore Ambiente. All’incontro ha presenziato anche Peter Ramsden, l’esperto in Innovazione Sociale incaricato dal Segretariato UIA di fornirci assistenza e supporto scientifico. Sono emerse diverse proposte interessanti per la futura sostenibilità di Salus Space, che saranno pertanto incluse nel modello e poi ulteriormente sviluppate quando si lavorerà al Business Plan. Il modello socio – economico di sostenibilità sarà presentato pubblicamente entro la fine di maggio, nel corso di un evento sul tema dell’accoglienza e ospitalità, organizzato dal Comune di Bologna in collaborazione con il Festival Itacà.  Prima della presentazione pubblica di maggio ci sarà l’occasione di confrontarsi con i cittadini dei due gruppi (valutazione partecipata e comunicazione partecipata) che collaborano attivamente al progetto, per condividere il lavoro svolto e raccogliere eventuali suggerimenti.

di Inti Bertocchi

L’associazione di volontari Il Giglio offre assistenza infermieristica con passione e generosità. Michela Tura, cittadina del Quartiere Savena, ha dedicato queste righe all’esperienza così importante per il territorio:

volontaria Ass Il Giglio

Queste poche righe per congratularmi e ringraziare di vero cuore l’ideatore e le persone di supporto che hanno contribuito a realizzare, e lo fanno camminare giorno dopo giorno, un progetto utilissimo per la collettività del quartiere Savena, soprattutto a livello pratico, ma anche psicologico.
Mi riferisco all’associazione “Il Giglio” di via Carlo Carli, costituita interamente da infermiere professionali e da assistenti, tutti volontari che, a turno, si prestano a fare iniezioni, misurare la pressione e molto altro per due ore tutte le mattine, dal lunedì al venerdì, addirittura fino circa al 20 di luglio, quando in città non si trova più nessuno.

Voglio esprimere la mia gratitudine raccontando la mia esperienza: dallo scorso aprile fino a luglio, quindi anche durante il torrido periodo estivo, ho avuto bisogno di un ciclo mensile di iniezioni, di cui alcune anche abbastanza brigose. Non solo i volontari mi hanno offerto assistenza in maniera gratuita, ma soprattutto mi sono state di grande aiuto la competenza e la gentilezza con cui sono stata accolta nei miei periodici appuntamenti e supportata nei miei dubbi e nelle mie paure.

Tutta la mia ammirazione, quindi, al personale del Giglio che col suo impegno allevia e risolve le preoccupazioni di tante persone di questo quartiere. Questo vuol dire partecipazione!

Mi auguro che questa associazione venga presa ad esempio e copiata da altri quartieri della nostra città.
Michela Tura

 

Davvero fitto il calendario di eventi che si svolgono al Circolo Arci Benassi, in viale Sergio Cavina 4, in questo mese di marzo.
Cominciamo con la serie di conferenze dedicate alla conoscenza della storia e della cultura cittadina, curata da Marco Poli. Il titolo è Eventi di una città. Da non dimenticare. Ecco gli appuntamenti, sempre alle 15,30, nella sala Napoleone, ad ingresso libero:
13 Marzo: Le donne nella storia di Bologna. Molte sono le donne che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della nostra città. Alcune sono molto note e famose, ma tante non hanno volto. L’8 marzo è la festa anche di queste donne. (con immagini)
20 Marzo: Bologna capitale della seta. Per quasi quattro secoli Bologna è stata la “capitale della seta”. Merito dell’innovazione tecnologica e degli investimenti sul sistema delle acque: il mulino da seta meccanico ha rappresentato la rivoluzione nella produzione della seta portando occupazione e benessere. (con immagini)
27 Marzo: Mi ricordo Bologna’ 2. Le foto di Walter Breveglieri dal 1945 al 1970. Ripercorriamo, con le fotografie di Walter Breveglieri contenute nel secondo volume di “Mi ricordo Bologna”, la vita quotidiana negli anni della ricostruzione e della conquista del benessere. (con immagini)
per informazioni: 051/450155-051/450638 – 334/1136944

Sempre al circolo Benassi, si terranno tre serate cinematografiche, alle 20.45, dedicate a Cina e Giappone: Oriente, ritratti di Famiglia
6 Marzo: Al di là delle montagne – (2015) di Jia Zhang-Ke, (Cina-Francia) con Zhao Tao e Jing Dong /BIM
13 Marzo: Father and son – (2013) di Kore-Eda Hirokazu (Giappone) con Masaharu Fukuyama e Machiko Ono /BIM
20 Marzo: Little sister – (2015) di Kore-Eda Hirokazu (Giappone) con Haruka Ayase e Masami Nagasawa /BIM
Le serate sono per i soci, l’entrata è a offerta libera e all’inizio della proiezione c’è una breve presentazione. L’approfondimento bibliografico è a cura della Biblioteca “Natalia Ginzburg”

Infine, sempre al Benassi parte dal 8 marzo la rassegna/concorso di comici provenienti da tutta Italia RIDàN à BULàGGNA ! Appuntamento per i giovedì 8-15-22-Marzo, la finale sarà il 7 aprile.Per assicurarsi l’ingresso e il tavolo per ogni serata bisogna prenotare allo 051451201 o via mail: ridanbologna@gmail.com

 

 

Giordana, una delle nostre cittadine redattrici, con un gruppo di volontari scende spesso in strada munita di pinza e sacchetto per la differenziata per raccogliere i rifiuti che le persone lasciano vicino ai cassonetti. Ha una bella pettorina verde che chiede a gran voce nuovi volontari che possano aiutarla.  A breve vi racconteremo di più su questa iniziativa, intanto ecco la mail di Giordana per chi volesse unirsi al gruppo: gio16conda@gmail.com.

Rita, invece, insieme al Comitato Due Madonne ogni giovedì organizza, in collaborazione con Hera, un punto di raccolta rifiuti “Piccoli ma Pericolosi”. E’ passato già qualche anno dalla prima sperimentazione al Quartiere Savena di Bologna della raccolta indifferenziata con il sistema a calotta, e le due cittadine vogliono esprimere il loro punto di vista su questo nuovo modello di raccolta dei rifiuti, che entro la fine dell’autunno sarà esteso anche agli altri quartieri della città. Ecco cosa scrivono

 

A febbraio di quest’anno saranno trascorsi quasi tre anni da quando entrò in funzione, nel quartiere Savena, la così detta “Implementazione del sistema a calotta” che prevedeva la limitazione, presso le Isole Ecologiche Stradali, di rifiuti indifferenziati tramite una dispositivo meccanico (calotta) che ne limitasse la portata a circa 22 litri.

Questi erano gli scopi che si prefiggeva Hera attuando questo nuovo sistema:

– Migliorare la qualità e la quantità della raccolta differenziata.
– Far percepire al cittadino, con una limitazione al conferimento, che il rifiuto non differenziabile è minimo
– In un secondo tempo, predisporre l’identificazione dell’utente per arrivare ad una “raccolta puntuale”.

Per spiegare ai cittadini del quartiere tutto ciò, Hera s’impegnò molto con assemblee pubbliche su tutto il territorio, consegnando a domicilio un kit (lettera alle utenze, opuscolo informativo, il Rifiutologo, Ecoborsa di supporto ai cittadini per differenziare in casa) e utilizzando le associazioni di vicinato in supporto agli info-point.
Il Comitato Due Madonne, di cui faccio parte, partecipò alla campagna informativa col suo gruppo di volontari, già attivi nella raccolta “Piccoli ma Pericolosi”.
A distanza di tre anni bisogna ammettere che, malgrado gli sforzi di Hera per implementare la raccolta differenziata, il sistema a “calotta” ha messo a nudo alcuni aspetti del malcostume popolare. Molti cittadini non si sono adeguati a buttare sacchetti di piccole dimensioni nei cassonetti grigi, abbandonano i loro abbondanti rifiuti, non ben differenziati, di fianco alle calotte o gettandoli direttamente nei cassonetti adibiti alla raccolta di carta, plastica e umido inquinandoli. L’immediata conseguenza è il formarsi di un visibile degrado intorno ai cassonetti con la presenza indesiderata di visitatori poco amati: i topi.
La conclusione che ne traggo è la seguente: forse, prima di mettere alla prova cittadini abituati ad un uso irresponsabile delle isole ecologiche stradali, sarebbe stato meglio educarli con un metodo, secondo me, molto efficace: chi non differenzia paghi di più mentre  chi, virtuosamente s’impegna a differenziare, venga premiato.
Rita Roatti

Lo scorso 16 gennaio ho incontrato la Consigliera del Quartiere Savena Giorgia Resca con la quale ho approfondito il tema “calotte”, e con lei ho espresso il mio personale punto di vista: è importante promuovere educazione civica (non una tantum), organizzando in collaborazione con Hera progetti per le scuole di ogni ordine e grado. Importante è il coinvolgimento delle associazioni per rivitalizzare l’orgoglio di un quartiere rispettoso dell’ambiente e di coloro che ci vivono.


Durante la raccolta “Piccoli ma Pericolosi” che si svolge il giovedì mattina in via Carli, nella sede della Polisportiva Pontevecchio, ho comunicato all’ingegnere dell’Hera Marco Mattioli che, nonostante i dati dicano che la raccolta differenziata sia in leggera crescita, percorrendo a piedi le strade nei pressi delle isole ecologiche (dove non in tutte esiste campana per raccolta vetro e lattine…), c’è degrado pauroso che alimenta ratti e cattivi odori. Credo che visite organizzate di gruppi di cittadini e di scolaresche ad Hera per vedere la filiera di smaltimento rifiuti, potrà senz’altro sensibilizzare la cittadinanza ad un rispetto più rigoroso.  Inoltre sarebbe utile dei cartelloni informativi in più lingue vicino le isole ecologiche e sanzioni per i trasgressori potrebbero essere dei deterrenti.
Giordana Alberti

 

 

 

 

Uno degli elementi innovativi del progetto Salus Space è il mix di funzioni e attività che vi si svolgeranno. Luogo di accoglienza, ma anche di intrattenimento e produzione artigianale e artistica, ristorante multietnico, centro studi. E centro di formazione. Aperto agli abitanti, ma anche al territorio.

Gli abitanti, rifugiati e richiedenti asilo, persone e famiglie in temporanea difficoltà finanziaria, coinvolte nei programmi di transizione abitativa del Comune di Bologna, saranno attivamente impegnati nella gestione dei servizi. L’obiettivo è la creazione di una impresa di comunità. Cefal, come ci spiega Maria Grazia D’Alessandro, si occuperà della formazione delle persone su più livelli

Un altro ambito di formazione è quello delle attività ricettive, anche per formare le persone che gestiranno il Bed & Breakfast che aprirà i battenti all’interno di Salus Space. Di questo si sta occupando Ciof/fp Emilia Romagna, come spiega Luca Lambertini.

Individuare le competenze dei futuri abitanti di Salus Space e accompagnarli in un percorso di auto-impresa. Questo è il compito di Microimpresa, Ong con esperienza in Italia e all’estero. L’intervista a Katia Raguzzoni.

Le interviste sono state realizzate durante l’evento del 25 ottobre 2017 a Palazzo d’Accursio

 

 

 


Nel Quartiere Savena da più di tre anni si sta sperimentando un nuovo modo per incrementare la raccolta differenziata dei rifiuti: il sistema del conferimento a calotta per l’indifferenziata.
I vecchi cassonetti con lo sportello a pedale sono stati sostituiti da nuovi, con una piccola botola posizionata sulla parte superiore, che permette l’ingresso di sacchi da 20 o 22 litri (a misura delle pattumiere da sottolavello). Obiettivo è limitare la possibilità di conferire grandi quantitativi di rifiuto indifferenziato e incentivare la raccolta differenziata.

Questo modello, entro l’autunno del 2018, arriverà anche in tutti gli altri quartieri di Bologna, ad eccezione di alcune zone del centro storico. A differenza dei primi cassonetti sperimentati al Savena, i nuovi avranno un’applicazione con tessera che faciliterà l’apertura della calotta (ora si apre con una leva) e che in futuro servirà per identificare l’utente che conferisce l’indifferenziata.
Ma come sta andando questa sperimentazione in quartiere?
La Redazione Partecipata, armata di microfono, ha trascorso un pomeriggio tra via Bellaria, Via Sardegna e Via Calabria, raccogliendo pareri e voci dei cittadini.

Alcune signore si lamentano della pigrizia di molte persone, che abbandonano i loro rifiuti, troppo grandi per la calotta, di fianco ai cassonetti, altri hanno notato un crescente degrado e della sporcizia.
“Il Comune ha dovuto mettere in giro per il quartiere le trappole per i topi, perché da qualche tempo fanno capolino tra i rifiuti”, ci racconta una signora, mentre un’altra commenta: “bisognerebbe controllare e sanzionare le persone che non differenziano correttamente e che abbandonano i rifiuti. E’ una questione di educazione civica, e noi forse ancora non siamo pronti per questa novità”.

Nella zona del Cavedone 2 in via Genova, le cose vanno meglio, come racconta la voce di uno dei condomini: “da noi il sistema funziona. All’inizio è stato difficile, ci siamo dovuti abituare. Ora non troviamo più nulla fuori dai cassonetti. A parte qualche rifiuto ingombrante: ogni tanto arriva qualcuno con un camion a lasciare i rifiuti che però vengono puntualmente rimossi dall’Hera”.
Nella nostra passeggiata tra le strade del quartiere incontriamo un gruppo di 10 signore che stanno andando a fare la spesa in un alimentare della zona. Non sono italiane, ma vivono a Bologna da 15 anni. Hanno imparato subito come fare la raccolta differenziata, una novità per loro, e ora capita di discutere con chi non la fa bene.


“Una soluzione, dal mio punto di vista,  potrebbe essere una  recinzione intorno ai bidoni, dove per accedere bisogna usare il codice fiscale. Risolverebbe il problema dei topi, dei rifiuti abbandonati in strada e aiuterebbe a mantenere il quartiere pulito”
, dice una ragazza ai microfoni della redazione.
Quasi tutte le cittadine e i cittadini che abbiamo incontrato hanno espresso malcontento e non pochi dubbi rispetto a questo modello di raccolta differenziata che, dal loro punto di vista, non ha portato ai risultati che tutti speravano.

Tra le voci raccolte c’è anche chi esce fuori dal coro: “io sono molto contenta per le calotte, spero che continui e che arrivi presto anche nelle altre zone della città. Secondo me è un sistema che funziona di più del porta a porta”.


Interviste a cura di Rita Roatti, Sergio Palladini e Giordana Alberti.

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